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Borsa Milano perde fino a -4%. Incubo banche, crolli -10%. Tonfo dollaro

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MILANO (WSI) – Bagno di sangue a Piazza Affari. Nel finale l’indice di riferimento Ftse Mib ha ridotto le perdite, ma nel pomeriggio il listino è crollato anche oltre -4%, per poi chiudere in calo -2,85% a 17.412,04 punti.

Ancora una volta c’è stata una raffica di sospensioni al ribasso, che hanno colpito i bancari: MPS, Banco Popolare, Intesa SanPaolo, Ubi Banca, Bper, Bpm e Mediobanca sono tutte entrate in asta di volatilitĂ , con perdite che sono arrivate, come nel caso di BP, ad ampliarsi anche oltre -10%.

Nel finale Mps -6,2%, Bper oltre -8%, BPM -5,78%, BP -9,9%. , Ubi Banca oltre -8%, Unicredit quasi -6%, Intesa SanPaolo oltre -5%. Tra i titoli di altri settori Anima Holding -6,13%, Buzzi Unicem -4,79%, FCA -3,85%, Saipem -4,61%, con i diritti sull’aumento di capitale crollati di quasi -44%.

Crescono le preoccupazioni sulla tenuta del sistema bancario italiano dopo i dubbi sulla creazione della bad bank dove verranno fatte confluire le sofferenze delle banche. E come se non bastasse la stessa Cerved oggi ha sottolineato che “anche con ipotesi di moderata ripresa dell’economia e di forte abbattimento dei tempi della giustizia, le sofferenze rimarrebbero nel 2020 su livelli non sostanzialmente diversi da quelli attuali“.

Per non parlare del fatto che la richiesta di flessibilitĂ  da parte di Renzi sta iniziando davvero a pesare nei rapporti tra Italia e Ue. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble non ha nascosto la sua irritazione nei confronti dell’Italia e ha detto che l’Ue non si farĂ  ricattare da Roma. In tutto questo, il rischio sulle banche europee è balzato al massimo dal 2013.

Ma sui mercati azionari in generale continua a far paura il rallentamento dell’economia cinese, anche se le autoritĂ  prevedono una crescita del Pil tra il 6,5  il 7% per quest’anno.

Venerdì si conoscerà poi il rapporto occupazionale governativo degli Stati Uniti, che potrebbe fare ulteriore chiarezza sullo stato di salute del mercato del lavoro su cui pesano ancora salari fermi e dubbia qualità degli impieghi.

Balzo per i prezzi del petrolio, con il contratto WTI che a New York è balzato oltre +5% a $31,40 e il Brent in rally +4,89% a $34,32.

Come dimostra bene l’andamento dei Bund è tornata forte l’avversione al rischio sui mercati finanziari. Male anche le borse asiatiche, Giappone in testa (con il Nikkei che ha perso oltre -3%).

Per vendere ormai i trader non hanno nemmeno bisogno di motivazioni particolari.

“In questo contesto piuttosto confuso in cui gli operatori fanno fatica ad individuare dei punti fermi, un ruolo fondamentale continua ad essere giocato dalle Banche Centrali. Dopo le aperture di Draghi, l’ennesima conferma in questo senso è arrivata la settimana scorsa dai meeting della Fed e della BoJ”, secondo Aldo Martinale, analista di Banca Intermobiliare.

Molto richiesti i beni rifugio come l’oro, tornato a balzare  con +0,88% a $1.138,92 l’oncia. Sul valutario boom euro, +1,25%, riagguanta e supera $1,10 e si attesta a $1,1056. Tonfo dollaro su yen, -1,71% a JPY 117,92. Hanno inciso le parole del presidente della Federal Reserve di New York, William Dudley, che ha fatto riferimento al peggioramento dell’outlook dell’economia globale, sottolineando che il rafforzamento del dollaro rischia di danneggiare l’economia Usa.

“Non ci sono segnali di miglioramento nel mercato del petrolio. La domanda sta rallentando nei mercati in via di Sviluppo e negli Stati Uniti, che sono il maggiore consumatore della materia prima al mondo, le scorte rimangono su livelli elevati”, ha commentato a Reuters Shuji Shirota, head of macro economic strategy presso HSBC.

Sul fronte macro in Cina è stato pubblicato il Pmi non manifatturiero che ha fatto registrare un rialzo a 52,4. Inoltre la Bank of Japan ha sottolineato di voler lasciare la porta aperta ad altri interventi di accomodamento monetario, come un potenziamento del programma di Quantitative Easing o un abbassamento ulteriore dei tassi di interesse, che già sono negativi.

Ciononostante l‘indice MSCI della regione Asia-Pacifico è scivolato di oltre due punti percentuali. Il mercato azionario di Hong Kong, dove è scoppiata una bolla immobiliare, ha lasciato sul campo il 2,7%.

L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha rivisto al ribasso il suo giudizio sulle aziende petrolifere e del gas degli Stati Uniti. La Cina intanto ha tentato di ravvivare il mercato immobiliare in crisi, con nuove misure a sostegno del settore, che a Hong Kong deve vedersela con una vera e propria bolla (vendite di nuove case -80% a gennaio e prezzi visti scendere di un ulteriore 30% quest’anno).

Petrolio ancora in calo

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