Economia

Botta e risposta dazi: le implicazioni per gli investitori

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La Cina ha deciso di alzare i dazi doganali su beni americani per 60 miliardi di dollari al 20-25% (dal precedente 10%), infliggendo un altro colpo ai mercati globali nella giornata di martedì. La ritorsione è stata attuata in seguito al provvedimento adottato lo scorso venerdì dall’amministrazione Trump, che mirava a raddoppiare i dazi doganali su quasi un terzo delle importazioni cinesi.

Nonostante l’aumento della volatilità, rimane ancora un certo margine di manovra prima che la morsa dei dazi si stringa. Inoltre, secondo il CIO della divisione di reddito fisso di Neuberger Berman, un “accordo definitivo e duraturo è palesemente nell’interesse di tutti”.

L’aumento annunciato da parte della Cina entrerà in vigore dal primo giugno, mentre i nuovi dazi USA sulle merci importate negli Stati Uniti sono in vigore dal 10 maggio, interessando quindi quelle importazioni che arriveranno nei porti statunitensi da due a quattro settimane a partire da quella data.

È probabile che le trattative continueranno in questo clima e Trump ha dichiarato di volersi confrontare con il Presidente cinese Xi Jinping al vertice del G20 previsto alla fine di giugno. I recenti sviluppi hanno comunque influenzato i mercati: le azioni hanno registrato perdite nelle ultime sessioni, soprattutto nei settori direttamente interessati dal conflitto commerciale, e i rendimenti dei Treasury USA hanno quasi raggiunto i risultati peggiori delle ultime sei settimane.

Sembra che gli Stati Uniti giocheranno ancora la carta dei dazi doganali. L’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America ha annunciato lunedì l’indizione di una consultazione pubblica relativa alla proposta di innalzare i dazi doganali su tutte le altre importazioni dalla Cina, per un valore di circa 300 miliardi di dollari.

La decisione statunitense e la relativa reazione cinese avevano già penalizzato i mercati a settembre, quando gli USA avevano imposto dazi del 10% sulle importazioni cinesi per circa 200 miliardi di dollari l’anno; Pechino aveva risposto a sua volta con l’imposizione di dazi doganali del 5-10% da applicare sulle merci statunitensi

Inasprimento guerra dazi, le implicazioni per gli investitori

George Efstathopoulos, portfolio manager del FF Asia Pacific MA Growth & Income Fund di Fidelity International osserva come la guerra commerciale stia davvero influenzando il sentiment di mercato, “come abbiamo potuto constatare nelle ultime sedute di negoziazione. La debolezza del mercato azionario e della valuta cinese potrebbe protrarsi in caso di deterioramento del sentiment. L’attuale sentiment ribassista, in realtà, potrebbe offrire opportunità di acquisto purché la retorica della guerra commerciale non intacchi i fondamentali, che stiamo monitorando attentamente”.

“L’impatto della guerra commerciale stessa è relativamente limitato, se confrontato con la dimensione del PIL cinese e quella delle recenti misure di stimolo attuate dal Paese. La Cina ha la possibilità di ammortizzare mediante strumenti politici l’impatto della guerra commerciale, il cui inasprimento inciderà sulla prontezza di intervento del Paese. Rispetto al 2018, Pechino è più preparata, considerando le misure di stimolo economico sia da un punto di vista fiscale che monetario. Gli spread delle obbligazioni corporate onshore si sono stabilizzati mentre i costi di finanziamento esterni si sono notevolmente ridotti”.

“Questa volta il sentiment negativo generato dall’inasprimento della guerra commerciale non coincide con una stretta creditizia. La Cina ha inoltre incrementato le misure a sostegno delle società private, che rappresentano un fattore chiave nella crescita del PIL e dell’occupazione del Paese. Potremmo assistere a politiche di maggiore incentivazione dei flussi di liquidità verso piccole e medie imprese. Potrebbero anche essere introdotte misure fiscali favorevoli in termini di agevolazioni fiscali e tagli alle commissioni. Stiamo inoltre monitorando l’impatto della guerra commerciale sull’inflazione, i cui effetti potrebbero ripercuotersi sia sugli Stati Uniti che sulla Cina”.

Bryan Collins, Gestore del FF Asia High Yield Fund e del FF China RMB Bond Fund di Fidelity International “Per la Cina, l’impatto di nuovi dazi doganali statunitensi al 25 per cento su importazioni per ulteriori 325 miliardi di dollari potrebbe comportare perdite intorno all’1-1,1 per cento del suo PIL nei prossimi 12-18 mesi. In termini commerciali, il rischio principale resta elevato mentre le trattative si intensificano, soprattutto dopo il recente rally.

“Nel complesso, le notizie correlate al protezionismo commerciale comporteranno ondate di volatilità in alcune aree, nonostante i positivi fondamentali macroeconomici. Con buona probabilità, tuttavia, ne scaturiranno potenziali opportunità di acquisto, ferma restando una scrupolosa selezione di emittenti e di titoli. Forse l’intensificazione del conflitto dei dazi spingerà la Cina a gettare uno sguardo più approfondito a livello nazionale, al fine di mantenere la stabilità economica e sociale e comportando probabilmente un allentamento del suo target. L’Assemblea nazionale del popolo cinese ha recentemente confermato che proseguirà il suo programma di ulteriore sostegno monetario e fiscale, combinato con iniziative per incentivare la domanda interna”.

Escalation dazi, quanto può essere dannosa per asset rischiosi?

Pur nutrendo una crescente fiducia nel fatto che Cina e Stati Uniti avrebbero trovato un accordo sugli scambi commerciali, Brad Tank, Chief Investment Officer del Fixed Income presso Neuberger Berman ricorda che il suo gruppo ha “sempre sostenuto che l’incapacità nel raggiungerlo costituiva l’unica vera minaccia per la crescita economica nel 2019”.

“Una settimana fa, quando Trump ha minacciato un’escalation dei dazi sui beni cinesi per 200 miliardi di dollari, qualora Pechino non avesse fatto maggiori concessioni, buona parte dei progressi compiuti nei negoziati è sembrata andare in fumo. Dopo quattro giorni di rinnovata volatilità sui mercati finanziari, mi sono trovato a scrivere queste righe, di venerdì mattina, poche ore dopo la scadenza dell’ultimatum della mezzanotte per le concessioni”.

“Dobbiamo considerare che l’accordo sia arrivato al capolinea? In caso di risposta affermativa, ci saranno ripercussioni per gli asset rischiosi? E quanto gravi?”

Fuori dai radar

Il money manager ipotizza che forse “un paio di settimane fa, quando l’S&P 500 ha toccato nuovi massimi, per poi scivolare rovinosamente il giorno della conferenza stampa della Federal Reserve, i mercati abbiano avuto il sentore di quello che sarebbe successo”. Può darsi che la recente debolezza dei mercati emergenti e dei metalli industriali abbia rappresentato “un sintomo di problemi irrisolti a livello di commercio globale. Forse”. Ma nel complesso, dice Tank, “gli investitori sembrano essere accecati”.

“Neanche mercoledì scorso, quando abbiamo condotto un sondaggio tra i CIO presenti al nostro “Investment Leaders Summit” annuale, nessuno ha dichiarato di prevedere una recessione nei prossimi 12 mesi. Men che meno che l’inflazione sarebbe il catalizzatore di una eventuale recessione. Riteniamo che simili previsioni siano probabilmente corrette, ma il sondaggio ci ha ricordato come la guerra commerciale, un fattore potenzialmente in grado di minare la crescita e l’inflazione, fosse da tempo fuori dai radar di tutti”.

A metà settimana è parso chiaro che il termine ultimo di venerdì sarebbe quasi certamente scaduto e che i dazi sarebbero aumentati, perché il recente fallimento dei negoziati è stato causato da un nodo fondamentale e difficile da sciogliere.

Robert Lighthizer, rappresentante al commercio statunitense nonché storico oppositore della Cina, è la figura principale che ha insistito affinché le concessioni di Pechino in materia di politica commerciale venissero integrate nel diritto cinese. Se ciò avvenisse, secondo il CIO, “qualsiasi nuovo accordo sarebbe più facile da applicare e avrebbe maggiori chance di sopravvivere oltre la scadenza dell’attuale amministrazione USA. Sono stati compiuti alcuni passi avanti in questa direzione, ma a quanto pare è lo stesso Presidente Xi Jinping ad essersi opposto”.

Un dietrofront da parte di entrambi i contendenti “avrebbe probabilmente portato i mercati azionari a toccare un minimo, per poi passare a un nuovo rally, nell’arco di tempo tra il momento in cui scrivo e il momento in questo articolo verrà pubblicato. Sennonché, ora come ora né Washington né Pechino dispongono di molti spazi per compiere un passo indietro”.

Terreno di correzione

In tutti i casi secondo il gestore “un’escalation dei dazi non implica necessariamente un affossamento dei negoziati e di qualunque speranza di accordo. Anzi, la nostra view è che una simile eventualità resti estremamente improbabile. Entrambe le parti in causa possono fare marcia indietro, ma ci vorrà più di un paio di giorni e, verosimilmente, ciò accadrà in un quadro caratterizzato da tariffe più elevate“.

Questo, tuttavia, “implica sicuramente che gli investitori dovranno affrontare altre settimane e altri mesi di incertezza su una vicenda che avevano già iniziato a scontare negli asset rischiosi. Nella giornata di borsa di venerdì si parlava di “sell the rumor, buy the news”, ma in ultima analisi non ci sorprenderebbe se questo si traducesse nella perdita della metà (o anche più) dei rendimenti che le azioni hanno registrato nei primi quattro mesi dell’anno”. Dovesse accadere, “l’indice S&P 500 si ritroverebbe in territorio di correzione”.

Anche i mercati del credito soffrirebbero, ma “riteniamo che sarebbero meno vulnerabili, alla luce sia delle valutazioni, sia degli utili del primo trimestre moderatamente positivi (che hanno risanato i fondamentali), sia del miglioramento della liquidità e dei fattori tecnici dei mercati dopo i forti ribassi di dicembre”.

Ovviamente il quadro potrebbe anche peggiorare. “Gli Stati Uniti hanno avviato le pratiche necessarie per imporre i dazi su tutte le altre importazioni cinesi, una mossa che farebbe più che raddoppiare il numero di merci coinvolte. La procedura richiederà uno-due mesi, un arco di tempo in cui dobbiamo presumere che i soggetti impegnati nelle negoziazioni continueranno le trattative. La Cina ha annunciato ritorsioni, sulle cui tempistiche e modalità aleggia tuttora un velo di incertezza”.

Se la nuova serie di dazi doganali verrà resa operativa, i consumatori statunitensi ne sentiranno l’effetto sotto forma di rincari. Ciò comporterà probabilmente un leggero aumento dell’indice dei prezzi al consumo, contrariamente a quanto era accaduto con la prima tranche di dazi che aveva colpito principalmente beni capitali e intermedi. E non dimentichiamo che, Cina a parte, nei prossimi cinque giorni dovrà essere presa la grande decisione “ex Section 232” relativa all’imposizione di dazi sulle auto di importazione. Se sull’uno o sull’altro di questi fronti dovessero esserci brutte notizie, le probabilità di un significativo rallentamento della crescita aumenterebbero.

Ciò nonostante, ancora una volta questo non rappresenta il nostro scenario fondamentale. L’obiettivo ultimo di un accordo definitivo e duraturo è palesemente nell’interesse di tutti. Molto probabilmente ci aspetta un’estate piuttosto turbolenta che tuttavia potrebbe offrire un’opportunità a chi saprà muoversi con agilità per catturare valore.