Economia

Bce boccia Jobs Act ma nessuno lo dice

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ROMA (WSI) – I problemi economici dell’Italia sono tanti e sono arcinoti – debito pubblico in continua espansione, crescita anemica, surplus primario strutturale in calo, salari fermi, prestiti e consumi carenti nonostante le politiche economiche e monetarie accomodanti. Ma se c’è un aspetto della terza forza economica in Eurozona che non viene messo in discussione dai grandi media, anche quelli più critici verso il governo Renzi: è l’andamento del mercato occupazionale.

Dagli ultimi dati a disposizione sembra in effetti che il mercato del lavoro stia uscendo da un lungo periodo buio. La disoccupazione è all’11,2% e negli ultimi quattro trimestri si è vista un’accelerazione della crescita delle assunzioni in Italia. Non tutto lo spettro occupazionale è confortante: ci sono due elementi in particolare che non convincono gli analisti della Bce.

Innanzitutto la crescita occupazionale vista nell’ultimo periodo è principalmente dovuta agli sgravi fiscali. Dal 2016 questi sono peraltro stati ridimensionati, il che fa temere per l’impatto che potrebbe avere proprio sull’elemento più positivo del mercato lavoro italiano. La legge di Stabilità 2016 ha fissato norme e soglie per gli sgravi contributivi per i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato come per il 2015, ma con alcune revisioni al ribasso penalizzanti per i datori di lavoro.

Come spiega Reuters in un’analisi sugli effetti del Jobs Act, “la soglia massima di esonero si riduce drasticamente, passando dai circa 8000 euro di quest’anno a 3250 euro. La decontribuzione durerà 24 mesi, ma sarà applicabile solo per le assunzioni riguardanti soggetti che nei sei mesi precedenti non hanno avuto contratti a tempo indeterminato presso alcuna realtà lavorativa. Inoltre, affinché l’azienda possa beneficiare di tali incentivi, le risorse non dovranno essere state precedentemente assunte dallo stesso datore di lavoro, e quindi aver beneficiato del medesimo incentivo”.

Bisogna poi prendere in considerazione il fatto che, come osservato dalla Bce in un report sui trend occupazionali nell’area euro, gli incentivi fiscali danno solo effetti temporanei, non permanenti.

Nel caso dell’Italia, poi, non si tratta nemmeno di grandi numeri: la crescita dell’occupazione dal 2013 al 2016 è stata insignificante a livello quantitativo rispetto agli altri grandi paesi dell’area euro (più del 30% della crescita è venuta dalla Germania, più del 25% dalla Spagna, appena più del 10% dalla Francia e poco più del 5% dall’Italia. Il resto del blocco ha contribuito con circa il 25%).

Inoltre buona parte della crescita è avvenuta in settori come quello dei servizi dove l’impiego del fattore lavoro è più intensivo. Senza contare che il risultato è stato ottenuto in parte con la riduzione delle ore lavorative per persona.

Jobs Act, sgravi fiscali non bastano

Insomma, secondo la Bce, l’Italia potrebbe beneficiare in futuro del Jobs Act ma la manovra non è sufficiente per rilanciare un mercato occupazionale che vede ancora la percentuale di giovani senza lavoro più alta tra i paesi membri dell’Eurozona.

Solo ora in Europa i livelli occupazionali stanno tornando sui livelli pre crisi, in netto ritardo rispetto agli Stati Uniti. E non è certo grazie al contributo di Italia e Francia, dove come detto i nuovi posti di lavoro creati sono molto lontani dai numeri visti in Germania o Spagna. Da metà 2013 a oggi sono stati creati in tutto 3,8 milioni di posti, i due terzi nei due paesi appena citati.

Lo studio della Bce cerca di spiegarne i motivi, facendo una netta distinzione tra le riforme più strutturali come quelle realizzate in Germania e Spagna e quelle invece basate su misure una tantum come l’applicazione di incentivi fiscali in Italia. Berlino e Madrid si sono mosse inoltre per tempo: la Germania ha iniziato a riformare il mercato del lavoro fin dalla metà del decennio, dice la Bce, mentre la Spagna ha iniziato durante la scorsa recessione.

Il Jobs Act non è promosso dagli esperti della Bce, ma almeno Renzi – anche mosso da fini elettorali con il referendum costituzionale alle porte e lo spauracchio di elezioni anticipate – sta tentando di raddrizzare il carro. Chi l’ha preceduto avrebbe dovuto e potuto riformare il mercato del lavoro, ma non l’ha fatto.