di Antonio Bottillo (Natixis) Country Head ed Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global Asset Management.

Vendite banche un’opportunità per questi investitori

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il sell-off dei titoli bancari presenta opportunità per l’investitore value oppure è il segnale di una crisi imminente? Nelle ultime settimane, la forza e la resistenza delle banche a livello globale sono state messe in dubbio. A fronte del forte calo di azioni e obbligazioni bancarie in Europa, il co-amministratore delegato della più importante banca tedesca, la Deutsche Bank, ha dichiarato che la banca era “solida come una pietra”.

Quando, poi, i timori si sono estesi alle banche statunitensi, l’amministratore delegato di JP Morgan Chase ha espresso la propria fiducia nell’istituto comprando azioni per un valore di circa 26 milioni di dollari. In quale misura gli investitori possono essere certi che una nuova crisi bancaria simile a quella del 2008 non si stia profilando all’orizzonte? Qual è la causa scatenante del forte sell-off abbattutosi sul settore bancario europeo? Le banche potranno crescere e prosperare in un mercato rimodellato da nuovi regolamenti e tecnologie? Quattro esperti degli investimenti di Natixis Global Asset Management esprimono le proprie riflessioni su tali temi.

“Il recente sell-off avvenuto sui titoli bancari, conferma ancora una volta come, nel mondo degli investimenti, bisognerebbe evitare sempre le decisioni prese sull’onda emotiva o rincorrendo gli alti e bassi dei mercati” – sottolinea Antonio Bottillo, Country Head ed Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global Asset Management.

“I nostri esperti sottolineano da un lato le sfide e i cambiamenti che il settore bancario si trova ad affrontare, dall’altro l’importanza di guardare ai fondamentali per poter valutare le reali opportunità offerte dal settore. In tale contesto, è sempre bene affidarsi ai professionisti della consulenza finanziaria che possono aiutare gli investitori a navigare attraverso le complessità dei mercati e ad evitare le trappole comportamentali”.

David Lafferty, CFA Chief Market Strategist

A partire dalla crisi globale (2007-2009), le banche hanno dovuto affrontare un difficile contesto operativo a causa dei bassi tassi di interesse, della lenta crescita dei prestiti, dell’aumento delle spese legali e della pressione normativa per il rafforzamento patrimoniale. Nelle ultime settimane tale pressione è aumentata a causa dei timori degli investitori associati alle perdite sui prestiti concessi al settore energetico, al calo dei margini netti di interesse a seguito dell’appiattimento della curva dei rendimenti, e alle possibili perdite derivanti da tassi d’interesse negativi sui depositi presso le banche centrali.

Sicuramente le banche globali stanno affrontando numerose condizioni avverse. Tuttavia, queste cattive notizie non devono ingenerare una prospettiva ribassista per il settore nel suo complesso. Si continua a dire che “le banche sono le nuove utility“, il che implica che il capitale e la struttura dei prezzi delle banche sono così fortemente regolamentati che la crescita non potrà mai più ritornare. Circostanza forse ancor più allarmante è il fatto che alcuni si chiedono se il sell-off dei titoli bancari non faccia presagire una nuova crisi bancaria. Penso che entrambe tali affermazioni siano fuori luogo. Adattarsi alla nuova regolamentazione.

Le banche si sono adattate e continueranno ad adattarsi all’inasprimento normativo imposto dalla legge Dodd-Frank e da Basilea III. Il passaggio verso leve finanziarie più prudenti difficilmente porterà alla fine dell’attività di erogazione del credito così come la conosciamo noi. Inoltre, le banche dotate di maggiore flessibilità possono aumentare le entrate provenienti da altre attività che richiedono meno capitale, tra cui l’asset management, o diversificare in aree con una maggiore crescita dei prestiti e/o tassi più elevati.

Sebbene il portafoglio dei prestiti di alcune banche locali maggiormente esposte al settore energetico potrebbe essere compromesso, l’esposizione delle maggiori banche a tale settore risulta piuttosto gestibile. Inoltre, a differenza di quanto avviene in occasione dei crolli del settore immobiliare, l’effetto contagio del calo dei prezzi del petrolio in altri settori dell’economia sarà contenuto – e probabilmente positivo. Il settore energetico non è quello dei mutui sub-prime, e il 2016 presenta caratteristiche molto differenti dal 2008.

Opportunità value nello scenario attuale

Ciò che forse gli investitori dovrebbero fare anzitutto è riconoscere che tali timori sono già stati in gran parte prezzati dal settore bancario. Se consideriamo le oltre 70 banche più importanti che compongono il settore a livello globale, i prezzi appaiono interessanti, con un rapporto P/E medio pari soltanto a 8,5x – uno sconto del 50% rispetto al mercato. In termini di Price/Book Value, i titoli bancari sono scambiati al di sotto dei loro (teorici) prezzi di realizzo a solo 0,85x. Entrambe queste misure sono significativamente al di sotto delle medie di lungo periodo.

È interessante notare come gli investitori siano stati veloci nel punire le banche che avevano bisogno di incrementare il capitale o emettere azioni, mentre debbono ancora premiarle con i multipli superiori di cui dovrebbe godere un’attività meno rischiosa. Sebbene le banche debbano sicuramente affrontare molte condizioni avverse, gli attuali prezzi di mercato già riflettono tale situazione. Inoltre, il “de-risking” dei bilanci bancari mette le banche in condizioni migliori per superare tali ostacoli.

David Herro, CFA Chief Investment Officer

Nonostante il rumore scatenato dai titoli dei giornali, riteniamo che il sistema bancario globale goda di buona salute. I livelli di capitale di Tier 1 sono quasi raddoppiati rispetto a otto anni fa. I crediti inesigibili delle grandi banche di qualità che noi seguiamo, sono sotto controllo. E sebbene esistano alcuni timori legati ai prestiti concessi alle società operanti nel settore energetico, la qualità del credito è migliorata nel complesso. Di conseguenza, interpretiamo i movimenti di mercato avvenuti a febbraio come un sell-off indiscriminato dovuto a timori macroeconomici e di regolamentazione.

Le reazioni eccessive dei prezzi in Europa

Se guardiamo specificamente al settore finanziario europeo, notiamo una reazione eccessiva da parte dei mercati azionari, il che rappresenta un’opportunità per l’investitore orientato al lungo termine. In realtà alcuni istituti finanziari hanno registrato miglioramenti alla qualità del credito, tagli alle spese, minori perdite sui prestiti, maggiori guadagni per servizi a pagamento (fe-based) e maggiori dividendi. Tutto questo non è in linea con i recenti movimenti dei titoli azionari. Uno dei timori che si sono diffusi sul mercato nei primi mesi del 2016 è che, a fronte di un appiattimento della curva dei rendimenti, senza l’intervento di alcun altro cambiamento, i differenziali dei tassi sui prestiti si sarebbero contratti, il che, solitamente, non è positivo per le banche.

Tuttavia, se esaminiamo congiuntamente i dati negativi e quelli positivi, un movimento così ampio dei titoli azionari degli istituti finanziari risulta ingiustificato. Durante la crisi del 2008-2009 e poi durante la crisi del debito sovrano del 2012-2013, l’istituto finanziario medio europeo aveva un livello di capitale di Tier 1 pari al 5-6% circa, contro l’11-13% di oggi. Negli ultimi anni, la definizione di capitale è diventata molto più restrittiva e le banche sono oggi meglio capitalizzate rispetto al 2008-2009, il che significa che sono più preparate per assorbire eventuali perdite ingenti, che tuttavia non si sono ancora verificate.

Oggi i bilanci delle banche sono molto più solidi rispetto a otto anni fa. Durante la seconda crisi del 2012-2013, alcuni credevano che l’area dei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) sarebbe andata in default e che le banche detentrici di molto debito sovrano avrebbero accumulato perdite enormi nei loro portafogli.

Tuttavia, ciò che si è verificato è che il rendimento dei  è sceso dall’8% circa di qualche anno fa all’attuale 1,6% circa, un livello inferiore al Treasury statunitense decennale. Penso che gli investitori non debbano permettere agli attuali prezzi di offuscare il loro orizzonte di investimento, poiché il mercato ha spesso torto.

L’Europa è in ripresa

L’Europa continua a riprendersi dalla recessione. Basti prendere ad esempio la Germania il cui attuale tasso di disoccupazione del 6,2% è il più basso dai tempi della nascita dell’Unione. Nel Regno Unito, le vendite al dettaglio sono cresciute del 3% nel mese di gennaio. I paesi della suddetta area “PIIGS” si stanno stabilizzando e hanno assistito al calo dei rendimenti sui loro titoli governativi.

I motivi che ci inducono a continuare a vedere l’Europa come un buon terreno di caccia comprendono:

  • Franchising redditizi e ottimi bilanci a prezzi interessanti
  • Molte aziende europee sono multinazionali che generano vendite e flussi di cassa a livello globale
  • L’euro più debole dovuto agli stimoli monetari dovrebbe costituire un vantaggio per la redditività di molte aziende europee

In generale, in questo contesto siamo fiduciosi che le aziende di qualità e ben gestite possano continuare a far crescere sia gli utili che i flussi di cassa.

Philippe Waechter, Chief Economist

L’attuale scenario macroeconomico di bassa crescita, bassa inflazione e bassi tassi di interesse costituisce il problema principale con cui hanno a che fare le banche. Nella zona euro, tale contesto potrebbe prolungarsi ancora per qualche tempo poiché non sembra vi siano gli impulsi di crescita necessari per dare una spinta forte all’economia, e non possiamo certamente fare affidamento solo sulla politica monetaria affinché tale situazione possa cambiare. Precedentemente, sembrava che implementando politiche fiscali decise, si potesse migliorare il profilo di crescita della zona euro, consentendo al PIL di convergere verso l’alto. Oggi sembra altamente improbabile che tale scenario si possa verificare.

Inoltre, il calo dei prezzi del petrolio non è stato il catalizzatore di un aumento dei consumi, a differenza di quanto avvenuto in passato. Bassa inflazione implica continuazione delle politiche accomodanti Mario Draghi, il Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), sia a gennaio, sia a marzo, ha affermato la necessità di una perdurante politica monetaria accomodante nel prossimo futuro. Nel meeting dello scorso 10 marzo, ha annunciato nuovi interventi per portare il tasso d’inflazione al 2% (tasso fermo al -0,2% a febbraio).

Ciò significa che la curva dei rendimenti, con molta probabilità, tenderà ad appiattirsi – il che non è positivo per il settore bancario. Tuttavia, a supporto del settore bancario, la Bce ha annunciato un nuovo programma di liquidità (TLTRO 2). Sulla base di specifiche condizioni, le banche potranno ottenere liquidità dalla Bce a tassi negativi. Considerato che tale programma continuerà fino a marzo 2021, aiuterà il settore bancario nel medio-lungo termine.

Il 2016 non è il 2008

I problemi attuali delle banche europee sono ben diversi da quelli affrontati nel pieno della crisi globale del 2008-2009. Allora, tutti gli istituti bancari si chiedevano cosa detenessero in portafoglio le altre banche. Oggi non vediamo sfiducia tra le banche e la BCE non si sostituisce al mercato monetario come nel 2008-2009. Inoltre, i coefficienti di solvibilità e gli indici di liquidità sono a livelli più solidi che nel 2008. Basilea III è stata messa in atto e la maggior parte delle banche europee è robusta. Vi sono, tuttavia, alcuni nuovi temi cui debbono far fronte le banche in Europa. Riteniamo che la sfida principale sia quella di saper adattare la propria strategia ad uno scenario macroeconomico non favorevole nel quadro dell’Unione bancaria.

(L’Unione bancaria nell’Unione europea rappresenta il trasferimento della responsabilità in materia di politica bancaria dal livello nazionale a quello comunitario in diversi paesi dell’Unione europea, ed è stata avviata nel 2012 in risposta alla crisi della zona euro.) Sebbene l’unione bancaria possa avere l’obiettivo finale di trasformare i “campioni nazionali” in “campioni europei”, le banche oggi sono prevalentemente realtà nazionali, non europee.

Al contempo, la digitalizzazione pone nuove sfide per le banche, che debbono essere in grado di adattare rapidamente il proprio modello di business al digital banking, oppure corrono il rischio di diventare obsolete soprattutto alla luce del crescente numero di start-up specializzate in tecnologie finanziarie che stanno facendo il loro ingresso nel settore. Infine, visto l’attuale debole scenario macroeconomico globale, occorre monitorare attentamente il rischio costituito dalle passività bancarie nei paesi emergenti. Oggi questa rappresenta una fonte di preoccupazione per gli investitori. Ancora una volta, però, l’entità di tale fenomeno non è pari a quella del 2008.

Julian Wellesley, Senior Equity Analyst

Circa a metà del film “Alien”, Sigourney Weaver e gli altri membri dell’equipaggio di Nostromo sopravvissuti cercano una creatura misteriosa nella loro astronave. L’alieno continua a cambiare forma, quindi non sanno esattamente che aspetto avrà. La telecamera si aggira nel labirinto di corridoi vuoti. Qualcosa di orribile sta per accadere, altrimenti, perché vi sarebbe una musica di sottofondo inquietante? Oggi ci si potrebbe sentire proprio così pensando di investire nelle banche europee.

La caduta delle quotazioni azionarie sembra presagire che qualcosa di terribile stia per accadere, ma nessuno sa esattamente che cosa. Alcuni osservatori di mercato che erano rialzisti sulle banche alla fine dello scorso anno si sono orientati verso un approccio ribassista a seguito della caduta dei prezzi del 30%. Ecco cinque motivi che possono spiegare la debolezza dei titoli bancari.

  1. La debolezza del prezzo del petrolio e di altre commodity tende a provocare problemi di qualità degli attivi per le banche. Ecco il primo colpevole. Nonostante il fatto che la caduta dei prezzi delle commodity sia in atto dalla fine del 2014, sono stati i livelli minimi raggiunti quest’anno ad aver attirato l’interesse degli investitori. Alcune grandi banche europee sono fortemente esposte rispetto alle proprie rivali statunitensi (le quali hanno solitamente un’esposizione molto gestibile del 3% al settore energetico, minerario e dei metalli). Sebbene riteniamo che gran parte dell’esposizione delle banche europee sia relativamente sicura (ad es., i finanziamenti commerciali a breve termine), alcuni investitori preferiscono vendere subito e porsi domande successivamente.
  2. I tassi di interesse negativi comprimono le entrate delle banche. Niente di nuovo anche sotto questo profilo. È dal 2014 che la BCE addebita dei costi alle banche per operazioni di deposito presso la BCE stessa. Ma il recente taglio ha ricordato agli investitori che questo ha un prezzo per le banche. Tassi di interesse più bassi riducono gli interessi attivi percepiti sui prestiti nei confronti dei debitori, ma le banche sono restie a compensare tale perdita aumentando il costo applicato ai privati o alle piccole imprese per i depositi effettuati presso di loro. Le banche centrali hanno imposto tassi di interesse negativi per stimolare l’economia. Ma è improbabile che raggiungano tale obiettivo se, al contempo, comprimono anche i profitti delle banche. Un’economia sana ha bisogno di banche sane che possano continuare a concedere prestiti.
  3. I rischi politici in Europa potrebbero provocare ulteriore debolezza economica e/o l’uscita di alcuni paesi dall’Unione Europea (UE). La Gran Bretagna terrà un referendum a giugno sull’adesione all’Unione Europea. Un voto favorevole all’uscita del paese provocherebbe un rallentamento della crescita e darebbe inizio a un periodo di incertezza a fronte della necessità di rinegoziare il trattato con quanto rimasto dell’UE. La Gran Bretagna non è l’unico problema. La popolarità di Angela Merkel ha subìto un contraccolpo per le scelte adottate in materia di accoglienza dei migranti mediorientali, il che sta minando la posizione della Germania quale leader di fatto della zona euro.
  4. Timori legati al riaffiorare di attività preesistenti nelle banche europee. La preoccupazione maggiore è l’Italia, dove la crescita è lenta da decenni e dove i non-performing loan (NPL) sono a livelli preoccupanti, poiché rappresentano il 18% del totale dei prestiti. Sebbene il flusso di nuovi NPL sia basso, vi è il rischio di dover sostenere ulteriori costi di smaltimento dei NPL laddove il valore delle garanzie reali relative alle sofferenze dovesse scendere. Ciò nonostante, a differenza dell’alieno che fuoriesce dalla pancia di John Hurt, non prevediamo l’improvviso riemergere di vecchi problemi.
  5. Timori sulla solidità capitale. Qualsiasi preoccupazione sulle banche porta inevitabilmente a timori legati alla solidità del loro capitale, essendo il modello di business delle banche dipendente dalla leva finanziaria.

Ma quanto dovremmo davvero preoccuparci? Non solo le preoccupazioni legate alla qualità degli attivi sembrano inferiori rispetto all’ultima crisi, ma il capitale delle banche è anche più forte. Attualmente il patrimonio di Tier 1 delle banche europee è, in media, del 13%, superiore al 9% del 2012. Alcune banche (comprese le grandi banche spagnole e francesi) ne hanno meno di altre, e i requisiti patrimoniali minimi continuano ad aumentare. Ma riteniamo che i livelli di capitale più elevati di tutte le banche europee riducano il rischio di contagio finanziario nel caso di una nuova recessione.

Le banche statunitensi sono in forma migliore rispetto alle banche europee. L’economia degli Stati Uniti è più forte di quella europea e la regolamentazione bancaria del paese è più severa. Inoltre, gli Stati Uniti non hanno tassi di interesse negativi. Le banche dei mercati emergenti destano maggiori preoccupazioni. Il rallentamento dell’economia cinese ha ridotto la domanda cinese di commodity. Ciò ha condizionato altri paesi che dipendono dalle esportazioni di materie prime verso la Cina, tra cui il Brasile, il Sudafrica e l’Indonesia. Anche se prevediamo un contesto molto difficile per le banche dei mercati emergenti, non ci aspettiamo una crisi bancaria.

È possibile immaginare uno scenario ribassista che potrebbe giustificare financo ulteriori cali dei prezzi dei titoli bancari. I suddetti rischi sono tutti connessi tra loro, quindi potrebbero verificarsi contemporaneamente. Gli investitori, oggi, sono particolarmente prudenti, poiché avevano sottovalutato la portata dell’ultima crisi. Noi siamo moderatamente ottimisti. I dirigenti bancari e i regolatori sono diventati molto più prudenti a seguito della crisi globale del 2008-2009. Siamo fiduciosi che l’ultima crisi – a differenza di quanto accade in Alien – non porterà ad anni di sequel deludenti.