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Elezioni, mille miliardi di promesse non finanziate

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Promettere grandi misure di abbattimento del fisco e aiuti finanziari a famiglie e imprese, per fare sognare l’elettorato e accaparrarsi consensi, è da sempre lo sport preferito dei candidati alle elezioni in Italia. A giudicare dai numeri dei loro programmi, le tre principali forze politiche in corsa per la vittoria al voto di domenica, stavolta però si sono superati.

Senza indicare le risorse finanziarie necessarie per i loro ambiziosi progetti di rilancio dei consumi e del reddito familiare, se non con le solite assicurazioni di lotta all’evasione e condoni fiscali, la somma delle loro promesse elettorali raggiunge i mille miliardi di euro. Nei piani di PD, M5S e centro destra non ci sono solo misure popolari ed espansive che non piacerebbero alle autorità di Bruxelles, come i tagli alle imposte e l’offerta di un reddito minimo, bensì anche l’impegno a ridurre il debito pubblico, pari a più del 130% del Pil, percentuale questa seconda solo alla Grecia in Eurozona.

Come i governi predecessori degli ultimi 20-25 anni, la ricetta per abbattere il debito è sempre la stessa e passa dalla promessa di ridurre la spesa pubblica e dalla lotta contro l’evasione fiscale. La lista di destra intende far scendere i 2.264 miliardi di euro di passivo dal 131,5% al 113% del Pil da qui alla fine della prossima legislatura, mentre il PD punta a un valore del 118%. Il MoVimento 5 Stelle ha un obiettivo ancora più ambizioso (91% del Pil), ma in un orizzonte temporale più lungo (10 anni).

Elezioni: le promesse del Centro Destra

Per i partiti della lista di centro destra il totale sale a 171 – 310 miliardi a seconda di quale programma si fa riferimento, se quello di Forza Italia o della Lega. Nelle loro promesse elettorali si possono trovare una flat tax del 23% per Forza Italia e del 13% per la Lega, che costerebbe tra i 50 e i 72 miliardi, un reddito di dignità (45 miliardi), l’innalzamento dell’età pensionabile (altri 15 miliardi, sempre che si riescano a convincere le autorità di Bruxelles); l’abolizione dei diritti di successione (tra 14 e 100 miliardi); l’abolizione della tassa immobiliare sulla prima abitazione e del bollo auto; un reddito per le donne casalinghe e diverse altre misure.

Sul tema della controversa flat tax, che secondo i critici finirebbe pre premiare i ricchi e costerebbe “almeno 45 miliardi di euro”, Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni che la promuove, non è vero che premierà esclusivamente i ricchi e anzi renderà il sistema fiscale italiano più giusto, dal momento che “premia i redditi da lavoro e non le rendite”. E ricchi, spiega l’economista ex parlamentare del PD, di solito hanno rendite da capitale più che da lavoro.

Secondo Filippo Tadderi, professore di Finanza internazionale all’Università John Hopkins di Bologna, però, “la flat tax avanzata da Bruno Leoni parla di un’aliquota Iva al 25% e di un contributo aggiuntivo per il sistema sanitario nazionale. Berlusconi e Salvini sono bravi a fare promesse ma non spiegano come faranno a realizzare questi tagli. Dunque è un’operazione politica dalle gambe corte“.

Inoltre, conclude, “e non è un dettaglio anzi è l’obiezione principale, un taglio ‘monstre’ di questo tipo andrebbe a beneficio del 65%-70% del 20% di ricchi del paese; dunque uno shock fiscale che, o costa tantissimo, o comporta nuove tasse, e va solo a beneficio dei ricchi”.

Elezioni: le promesse del PD

Il Partito Democratico di Matteo Renzi (PD) prevede l’emissione di 18 miliardi di euro di eurobond per finanziare la ricerca, un reddito minimo che costerebbe sui 2,7 miliardi, l’abbassamento dei prelievi fiscali obbligatori per 12 miliardi e un piano per il rilancio della scuola da 2 miliardi.

Sul versante economico, il professor Taddei, economista del PD, assicura che il partito di centro sinistra di cui è consulente di economia lavorerà alla riduzione del cuneo fiscale di un punto ogni anno per 4 anni (costo stimato di 2,5 miliardi di euro annui) e agli investimenti in formazione, istruzione e politiche attive, assegno di ricollocazione in testa.

Infine si prevede un piano di aiuto alle famiglie da 9 miliardi, che passa dal riordino e dall’universalizzazione del sostegno alla famiglia unificando le detrazioni e l’assegno familiare creando uno strumento unico, appunto, più semplice ed universale per dipendenti e autonomi, che sia graduale sulla base del reddito ovviamente. Con tutte le altre misure allo studio citate nel programma, si arriva a 56 miliardi di euro.

Elezioni: le promesse del M5S

Il MoVimento 5 Stelle, da parte sua, promette tra le altre cose il lancio di un reddito di cittadinanza il cui costo si stima sia intorno ai 29 miliardi di euro, degli investimenti strategici mirati da 10 miliardi, investimenti nella sanità per 2,5 miliardi; aiuti familiari da 14,5 miliardi; la riduzione di 12 miliardi dei prelievi fiscali obbligatori, una riforma dell’età pensionabile generosa da 15 miliardi e altre manovre per una cifra complessiva pari a 63 miliardi.

Il M5S ha allo studio inoltre una spending review simile a quella preparata da Carlo Cottarelli, ma senza i tagli alla scuola”, come ha precisato il candidato premier Luigi Di Maio. L’ex commissario alla spending review Cottarelli ha precisato che il suo piano di tagli alla spesa pubblica non prevedeva una riduzione di risorse che andasse a colpire il settore dell’istruzione.

Il primo ministro in carica, Paolo Gentiloni, ha dichiarato di recente a chi gli chiedeva da cosa derivasse la sua crescente popolarità, che le aspettative all’inizio erano molto basse. I suoi colleghi e rivali, sempre che qualcuno riesca a formare un governo, rischiano invece di fare l’errore opposto e di voler fissare l’asticella troppo in alto.

“Votate per il candidato che vi promette di meno; è quello che vi deluderà di meno”, diceva Bernard Baruch, uomo d’affari e politico americano che ha lavorato come consulente economico di due presidenti Usa, Woodrow Wilson e Franklin D. Roosevelt. Seguire il suo consiglio in Italia equivarrebbe ad astenersi dal voto il prossimo 4 marzo.