Economia

Bond, Draghi falco ha causato 200 miliardi di perdite

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Che sia stato male interpreto (come sostiene la Bce) o meno, fatto sta che l’accenno di Mario Draghi alla possibilità di ridurre e poi di rimuovere le potenti misure di stimolo monetario straordinarie, che da anni drogano i mercati con liquidità pressoché illimitata in Eurozona, ha provocato scombussolamenti notevoli sui mercati finanziari e di riflesso per i portafogli dei grandi fondi e per i risparmi degli italiani.

La pioggia di vendite vista nelle ultime due sedute della scorsa settimana ha portato a un vero e proprio salasso per chi era esposto al mercato obbligazionario europeo. I rendimenti sono tornati a salire e il tasso decennale dei Bund tedeschi ha superato la soglia psicologica dello 0,5%. È l’effetto dell’avvio di un percorso di normalizzazione dei tassi di interesse e della fine delle politiche ultra accomodanti della Bce.

In due settimane, stando ai calcoli effettuati basandosi sull’indice di capitalizzazione di Bloomberg, i mercati dei Bond europei nel loro complesso (quindi corporate bond, titoli di Stato e high-yield) hanno perso in totale 200 miliardi di euro.

“Chi è abituato a considerare il bicchiere mezzo pieno rileva, per la verità – riscontra Maximilian Cellino sul Sole 24 Ore – come la capitalizzazione dell’indice in questione sia ancora leggermente al di sopra a quella di inizio anno e ben oltre i livelli raggiunti subito dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. I più prudenti non possono però far a meno di rilevare come in meno di due settimane siano in fondo evaporati i guadagni realizzati nei primi 6 mesi dell’anno, e soprattutto puntano il dito sull’inversione di tendenza e temono per il futuro”.

A condividere i timori per le possibili ripercussioni che la fine delle politiche di Quantitative Easing avrà sui mercati obbligazionari è David Kupperman, co-head di Neuberger Berman Alternative Investment Management. Secondo lui il solo motivo per cui oggi il rischio di rendimenti negativi non è così elevato è che l’abbondante liquidità iniettata dalle banche centrali fa girare tutti gli ingranaggi. È per questo che, “nel momento in cui questa liquidità venisse meno, si potrebbero avere enormi ripercussioni“.

Come mettersi al riparo dall’inevitabile aumento dei tassi

Il quotidiano finanziario consiglia anche come difendersi da un rialzo dei tassi che appare ormai inevitabile, non solo negli Stati Uniti, dove il percorso di normalizzazione delle politiche monetarie è in atto da un po’ di tempo (la Fed ha alzato i tassi tre volte da dicembre 2016 e ormai il costo de denaro è sopra l’1%), ma anche in Eurozona. Per esempio il risparmiatore italiano, affezionato storicamente al reddito fisso, dovrebbe rinunciare alle soluzioni più ovvie.

Christel Rendu de Lint, Head of Global & Absolute Fixed Income di Union Bancaire Privée, esorta per esempio gli investitori a “guardare al di là dell’universo euro aggregate per cercare alternative che possano offrire maggior protezione” e invita a considerare gli high yield degli Stati Uniti e il debito subordinato delle banche “a patto che gli investimenti siano selezionati con attenzione”. Su quest’ultimo punto si è visto come i pericoli siano dietro l’angolo in Italia, ma altrove in sistemi bancari più robusti, si potrebbe pensare a una puntata con prospettive di guadagno che non comportano troppi rischi.

Un’altra opzione potrebbe essere, se ci si basa sui precedenti, quella di affidarsi all’azionario che in un contesto di inflazione in ripresa ma sotto controllo e di normalizzazione delle politiche monetarie ha storicamente ben performato.

Per chi invece non riesce a fare a meno di esporsi ai titoli di Stato una soluzione potrebbe essere quella dei titoli indicizzati all’inflazione e quelli con cedola variabile, che “in un contesto di tassi in rialzo dovrebbero offrire una maggior protezione. Anche qui però la faccenda è discussa: di sicuro un movimento del genere si è verificato negli ultimi tempi e basta confrontare i prezzi dei CcTeu legati all’andamento dell’Euribor con quelli dei BTp nominali pari scadenza per rendersene conto”.

Secondo UniCredit Research, gli indicizzati trattano sui massimi relativi da inizio giugno e c’è pertanto il pericolo che l’opportunità di apprezzamento sia ormai alle spalle.

Per quanto riguarda le prospettive di titoli legati all’inflazione, su cui scommettere solitamente in periodi in cui si prospetta un miglioramento delle condizioni economiche, Rottmann ricorda che i livelli di breakeven sono scesi ulteriormente anche di riflesso al calo del petrolio e “con il peggio della decelerazione ormai alle nostre spalle una loro ripresa appare probabile”.

Per breakeven si intende il differenziale di rendimento fra un titolo con cedola indicizzata all’andamento dei prezzi al consumo e uno nominale – ovviamente a parità di scadenza. Secondo l’analista potrebbe insomma essere il momento propizio per comprare Btp Italia, Btpei e simili.

C’è un solo problema, come ricorda Cellino: “se l’inflazione arriverà davvero nell’Eurozona e il mercato, sotto questo aspetto, mostra di crederci fino a un certo punto: le aspettative a lungo termine misurate dal tasso swap 5y5y seguito da vicino dalla Bce sono sì cresciute di 10 centesimi fino a sfiorare l’1,60%, ma restano ancora lontane sia dall’obiettivo Bce, sia dai livelli dello scorso inverno”.