Entro il 2021 lo stato sarà chiamato a uscire dal capitale di Monte dei Paschi di Siena (MPS): considerato il valore dell’investimento compiuto per salvare la banca si può dire con ragionevole certezza che la perdita sarà plurimiliardaria. Con 6,9 miliardi di esborso complessivo, lo stato si trova in mano il 68% di una banca la cui capitalizzazione di mercato supera di poco i 2 miliardi.
Con un quota in possesso del Tesoro del valore attuale di 1,36 miliardi, se la cessione avvenisse oggi, la perdita complessiva per i contribuenti si aggirerebbe intorno ai 5,5 miliardi. E l’andamento dello spread ha già iniziato a peggiorare ulteriormente le cose.
Mps, infatti ha in portafoglio circa 24 miliardi di euro in Btp, il cui prezzo diminuisce con l’aumentare dei tassi d’interesse e dello spread. Ciò, come nel caso delle altre banche italiane, stabilisce una relazione inversa fra il differenziale Btp-Bund e il valore delle azioni bancarie.
Come ha fatto notare il Sole 24 Ore “quando si è insediato il Governo giallo verde, Mps valeva circa 3 miliardi. In quattro mesi e mezzo, è stato bruciato un miliardo, di cui il 68% a carico del socio pubblico”. Nello stesso periodo lo spread è oscillato fra i 218 e i 308 punti attuali.
Le perdite nel affare Mps, tuttavia, sono una costante avviata anche prima dell’insediamento dell’attuale governo. Il Tesoro aveva pagato le azioni 6,9 euro l’una per la principale porzione di 5,5 miliardi e 8,5 euro per la parte restante. Quando Mps tornò a essere quotata a Piazza Affari il 25 ottobre 2017, il titolo chiuse con un prezzo di 4,55 euro, già ben al di sotto del valore pagato dallo Stato.
Da quel momento in avanti, sotto la presidenza Gentiloni e con lo spread relativamente calmo, il titolo ha ceduto il 41,3% nel corso dei 7 mesi che hanno condotto alla nomina del governo Conte. Dal primo giugno a oggi, in 5 mesi e mezzo circa, l’ulteriore caduta è stata del 33,33%.