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Inflazione, suona il campanello d’allarme. “I mercati non sono pronti”

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La bassa inflazione ha ormai il fiato corto, negli Usa. E il mercato non è pronto a fare i conti con un sentiero di normalizzazione della politica monetaria più ripido del previsto. Ne è convinto Jean Boivin, responsabile della ricerca economica e sui mercati di BlackRock Investment Institute, che in una lunga analisi firmata con i colleghi Alessandro Beber e Jonathan Pingle, mette in guardia gli investitori dal rischio di una sottovalutazione della traiettoria dei prezzi al consumo.

Ad agosto l’inflazione Usa si è portata all’1,9% tendenziale, dall’1,7% del mese precedente, sopra le attese degli analisti. L’indice core, seguito dalla Fed per calibrare le decisioni di politica monetaria, ha segnato un più 1,7%, in linea con il dato di luglio, ma sopra le stime. E secondo gli analisti di BlackRock, l’indice dei prezzi al consumo (Cpi) risalirà al 2% entro l’inizio del 2018. Il Pce (personal consumption expenditure index), che nella versione core (vengono esclusi i prezzi dei prodotti alimentari ed energetici) rappresenta il target della banca centrale americana, all’inseguimento.

“Per un mercato che appare ancora scettico sulla possibilità che la Fed prosegua con il processo di normalizzazione – scrivono i tre economisti – questo dovrebbe suonare come un campanello d’allarme”.

Intanto, molti operatori stanno iniziando a rimodulare le proprie aspettative. Le probabilità di un altro rialzo dei tassi a dicembre – incorporate nei contratti future sui Fed Fund’s – sono salite nell’arco di una settimana dal 31% al 51%. Non è un caso se nel corso delle ultime sedute, il dollar index – che esprime la forza relativa del biglietto verde rispetto alle principali valute estere – è tornato a prendere fiato, dopo una lunga discesa avviata a metà dicembre.

La prossima settimana il radar degli investitori sarà focalizzato sulla riunione del Fomc, il braccio operativo di politica monetaria della Federal Reserve, in calendario i prossimi 19 e 20 settembre. In quell’occasione, verrà probabilmente annunciato da Janet Yellen il via al piano di smaltimento del bilancio della banca centrale, gonfiato fino raggiungere 4.500 miliardi di dollari, dopo tre programmi di easing quantitativo a base di acquisti su titoli di stato e garantiti da mutui ipotecari. In larga maggioranza gli operatori rassicurano sulla tenuta dei mercati, ricordando che il drenaggio della liquidità è ormai già incorporato nei prezzi e che, in ogni caso, il bilancio della Fed non tornerà ai livelli pre-crisi (un quinto rispetto ai valori attuali). Tuttavia, l’effetto combinato di una riduzione del suo stato patrimoniale, nuovi rialzi dei tassi di riferimento e – suggerisce qualche osservatore americano – una probabile ripresa del percorso di riforme fiscali annunciate da Donald Trump, forse costringerà gli investitori a un radicale ripensamento, anche in termini di rotazione dei portafogli. I cui effetti, alimentati dall’effetto gregge, potrebbero essere destabilizzanti.