Società

Giovani fuggono dall’italia: “ecco perché lottiamo altrove”

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Problema noto, quello della fuga dei cervelli. Ma il fenomeno, specie negli ultimi dieci anni, si è esteso ed ha intaccato le più svariate forme.

L’attuale paradigma economico ha messo in ginocchio le economie di buona parte dell’Europa, in particolar modo quelle dei Paesi cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), tra cui, appunto, l’Italia.

Ecco dunque che persone di tutte le età e con i più diversi titoli di studio o esperienze lavorative, si vedono costretti ad andare all’estero; vuoi per mantenere la famiglia, vuoi per non essere disoccupati, vuoi perché non si sentono appagati.

Il sistema economico basato sulla moneta unica, ovvero l’euro, non permettendo di svalutare la moneta, vede come unica valvola di sfogo per la competitività la svalutazione del lavoro. Qui trovano infatti radici i tagli ai diritti dei lavoratori (si veda la cancellazione dell’articolo 18), la riduzione dei salari e la nascita di forme di lavoro caratterizzate da contratti a breve termine e sottopagati (quello che viene chiamato “lavoro agile” o “lavoro flessibile”).

Scenario dei più bui: poco lavoro, mal retribuito e per breve durata

Proprio ai tanti che lasciano l’Italia con destinazione Londra, il settimanale “Sette” del “Corriere della Sera” dedicava la copertina in data 7 agosto 2015 con il titolo “Italiani che fanno grande Londra”.

Wall Street Italia ne ha parlato con Diego Bernacchia, dottore in Informazione Scentifica sul Farmaco e con un Master in International Business, recentemente autore di un articolo dal titolo “Sono andato a lottare altrove” uscito su “Repubblica.it” e trasferitosi a Londra nell’ottobre del 2016 dove, dal 2 novembre dello stesso anno, ricopre il ruolo di Sales Account Manager presso la Falshbay Ltd.

“In UK ho avuto modo di provare quel genere di approccio al lavoro, tipicamente anglosassone, del “dimostrami cosa sai fare e quanto vali”. Al tuo datore di lavoro non importa da dove vieni o cosa hai studiato, la sola cosa che conta e’ saper dimostrare il proprio valore e la propria abilità nel lavoro, giorno dopo giorno, credo si tratti di meritocrazia; qui semplicemente ho trovato l’occasione per potermi giocare le mie carte alle condizioni che ho lungamente ricercato entro i confini nazionali”.

Il governo recentemente insidiatosi sta provando ad attuare misure che quantomeno trattengano i cittadini in Italia. Aldilà della flat tax, per esempio, volta ad aiutare in prima battuta gli imprenditori perché creino lavoro, è il caso del reddito di cittadinanza. Questo strumento (che per altro è presente in quasi tutti gli Stati europei e l’Italia era uno dei pochi Paesi a non averlo), nelle intenzioni, oltre a fare welfare dovrebbe incentivare la crescita dei salari in quanto dovrebbe alzare l’asticella tra domanda e offerta.

Secondo lei, è uno strumento adeguato o diventa piuttosto un’arma a doppio taglio (aumento del lavoro nero, maggior sfruttamento dell’immigrazione clandestina, eccetera)? Quali potrebbero essere, dal suo punto di vista, degli argomenti interessanti per incentivare chi è all’estero a tornare piuttosto che chi è ancora in Italia a rimanere?

“Credo che il Governo stia un po’ perdendo di vista la situazione giovanile. Il reddito di cittadinanza sarà un esborso di soldi pubblici, farà aumentare il lavoro nero e non farà altro che agevolare quelle persone che vengono chiamate “gli inattivi”, coloro cioè che hanno smesso di lottare per il loro futuro.

Il vero problema del nostro Paese è la perdita di competenze

Una lenta e continua emorragia di persone con profili professionali molto validi che non trovano nel proprio paese le possibilità di dimostrare il loro valore e la propria passione e che quindi vanno a “lottare altrove” (si vedano i tanti esempi dei ricercatori).

Penso poi, soprattutto, ai tanti come me che dopo anni di sacrifici si trovano ad essere costretti ad andarsene; solo non capisco una cosa: dopo che lo Stato ci ha formati in maniera eccellente, perché il mercato del lavoro ci rigetta? Sembra come se fossimo troppo preparati e, quindi, troppo costosi, mentre altre nazioni sono così aperte nei nostri confronti”.

Non sono nelle condizioni di stabilire la “ricetta” giusta, ma credo che una persona non cerchi il reddito di cittadinanza bensì semplicemente un lavoro che gli permetta di realizzare i suoi sogni e le sue ambizioni; e per fare questo sicuramente si potrebbe partire da un mercato del lavoro più equo e meno clientelare, un mercato del lavoro dove il merito è il delta principale tra poter crescere e non, un mercato del lavoro che, come in UK, metta nelle condizioni di poter lottare ad armi pari; la vita qua è ben più dura che il Italia ma le condizioni che mettono i datori di lavoro sono tali che “Homo quisque faber ipse fortunae suae” ognuno ha la libertà di decidere il suo destino lavorativo compreso fallire.

“Viste le circostanze, il mio invito è quello di tentare, di viaggiare e di fare esperienze, belle o brutte che siano vi faranno crescere. Quando deciderete di tornare a casa avrete la certezza che la “comfort zone” che pensavate di esservi creati non era il vostro mondo ma solo il punto di partenza”.