L’era Macron non inizia sotto i migliori auspici se si pensa che in Francia sono già iniziate le prime polemiche. Con la scelta dei ministri fatta ieri l’intento evidente di Emmanuel Macron è quello di scompigliare le carte dello spettro politico e rompere con un passato che in Francia è stato dal 1958 caratterizzato dalla polarizzazione destra-sinistra. Il presidente della Repubblica, su consiglio del primo ministro Edouard Philippe, ha nominato i 18 ministri – tre in più di quanto promesso – del suo nuovo esecutivo: un pot-pourri variegato come non si era mai visto nella storia repubblicana.
La metà dei ministri sono donna, la metà vengono dalla società civile mentre l’altro 50% è rappresentato da politici di destra, di sinistra, di centro e del suo movimento En Marche!. Il minestrone è stato scelto non tanto per mandare un segnale all’opinione pubblica quanto in chiara ottica elezioni legislative e quindi con il voto di giugno fisso in testa.
L’intento del candidato centrista indipendente è quello di assicurarsi una maggioranza parlamentare che gli permetta di governare a briglie sciolte. Se per esempio la destra dovesse aggiudicarsi il secondo turno, o se addirittura Macron non dovesse passare lo scoglio del primo turno, lasciando a Repubblicani e Front National la divisione della posta in palio dei seggi parlamentari, per l’Eliseo sarebbe difficile varare le misure previste dal suo presidente, perché ogni legge dovrà passare lo scoglio delle Camere.
Con una coabitazione del genere la presidenza Macron avrebbe più le fattezze di una repubblica parlamentare in cui l’opposizione controlla il ramo parlamentare e il governo il potere esecutivo. Per evitarlo Macron ha voluto offrire un posto di primo piano agli esponenti di diverse fasce politiche. Tra quelli che si sono mostrati subito pronti a tradire il proprio partito e salire in sella e seguire il suo progetto figura l’ex premier Manuel Valls. Seppure non sia stato eletto ministro, l’ex Socialista è stato in parte accontentato e non affronterà un rivale di En Marche! nella sua corsa al seggio della circoscrizione di L’Essonne.
Politica economica improntata al rigore
La scelta più controversa di Macron è stata quella del Repubblicano Bruno Le Maire, ex ministro del governo Fillon sotto la presidenza Sarkozy, al dicastero dell’Economia e del Fisco. L’ex candidato alle primarie del centro destra (arrivato quinto con nemmeno il 3% dei voti) è stato definito un “traditore” dai suoi ex colleghi di partito. Aveva sostenuto fedelmente la corsa alla presidenza del candidato del suo partito, Francois Fillon, fino allo scoppio dello scandalo Penelopegate. Dopo aver rinunciato aveva tuttavia detto che avrebbe votato comunque per il candidato dei Repubblicani. In una settimana dalle elezioni ha cambiato idea salendo sul carro del vincitore.
Il problema di un governo ‘minestrone’ come quello presentato ieri non è tanto a livello di immagine, quanto piuttosto di creare amalgama. Come farà per esempio il fresco ministro dell’Economia, posto ricoperto da Macron prima della sua candidatura alle presidenziali, con idee di destra su temi fiscali (nel suo programma delle primarie diceva di voler eliminare la tassa sulla fortuna che penalizza i ricchi), economia (convinzioni di stampo liberale) e lavoro (soppressione di alcuni diritti dei sindacati e dei sussidi di disoccupazione), a trovare punti d’incontro con il ministro dell’Ecologia, un attivista ambientalista? Agli Interni e agli Esteri andranno due esponenti socialisti, mentre il ruolo delicato di ministro del Lavoro – la cui riforma è una delle prime priorità dell’agenda Macron – è stato assegnato a una donna, Muriel Penicaud, che viene dalle Risorse umane di Danone e che ha lavorato per società sia private, come Orange, sia a controllo statale, come le Ferrovie SNCF.
Dal momento che il ministro dell’Azione e dei Conti Pubblici, Gérarld Darmanin, è pure lui come il responsabile dell’Economia un uomo di destra favorevole a un’Europa forte e al rispetto degli impegni sui conti pubblici, si può dedurre che la Francia penderà per una politica economica orientata al rigore e all’austerity. In questo Macron è stato strategico: saranno loro – e non esponenti di En Marche! – a dover prendere decisioni delicate e assumere le responsabilità per il previsto aumento delle tasse (la contribuzione sociale generalizzata CSG) e preparare i tagli di bilancio da 60 miliardi di euro durante i cinque anni di mandato.
Le Maire ha idee differenti da quelle di Macron su molti punti, almeno a giudicare dal suo programma presentato durante la campagna delle primarie di destra: voleva tagliare un milione di posti tra i funzionari pubblici (Macron ne vuole abbattere solo un sesto) e voleva ridurre la tassa CSG. Semplificare la burocrazia per le aziende e la riduzione della tassa sulle immobiliari sono due punti invece in comune tra i due. Sempre in materia economica, Macron vuole inoltre far sì che aumenti il salario netto che arriva in tasca ai francesi.
Macron ha scelto loro per ragioni anche politiche, quindi. Con la consapevolezza che dopo il voto delle legislative il governo potrebbe subire un rimpasto a seconda di quale forza politica si aggiudicherà la maggioranza parlamentare. Le Maire è stato ministro degli Affari europei e conosce bene il tedesco e la Germania. Questo potrebbe metterlo in una posizione di favore nei negoziati con la Germania per riformare l’Eurozona e possibilmente i trattati. Il rischio è che Macron, che voleva accontentare tutti, potrebbe finire per non accontentare nessuno.