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Coronabond oppure Mes: cosa cambia nel concreto

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Dopo 16 ore di riunione l’Eurogruppo, ovvero la riunione dei ministri delle finanze dei Paesi dell’Area euro, non è riuscito a raggiungere un accordo sullo strumento di sostegno finanziario comune da adottare contro la crisi coronavirus. La riunione, pertanto, si ripete oggi, (8 aprile) nella speranza che un compromesso possa essere raggiunto fra i Paesi del Nord, ostili all’ipotesi di un’emissione di debito europeo, e quelli del Sud.

La speranza di Germania e Olanda è che per fornire sostegno finanziario ai Paesi che ne hanno bisogno si possa utilizzare il Fondo salva stati (Mes), anziché un nuovo strumento di debito comune come i coronabond. Nella sostanza, qual è la differenza fra le due soluzioni?

La prima è di ordine giuridico: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è un fondo già esistente e pronto ad agire, laddove la costituzione di dei coronabond richiederebbe se non altro un accordo nuovo fra gli stati membri sulle modalità e le condizioni di attuazione.

Secondo quanto affermato dal direttore del Mes, il tedesco Klaus Regling, la creazione dei coronabond potrebbe richiedere fino a 3 anni di preparazione. Anche se i tempi fossero più stretti rispetto a quelli prospettati da Regling, resta chiaro che in caso di necessità immediate sarebbe difficile poter contare su uno strumento che esiste, per ora, solo nella mente dei suoi fautori.

Seconda differenza: il Mes nasce su premesse diverse, con vincoli pensati per crisi finanziarie di singoli Paesi. Si è sentito dire spesso, in primis dal presidente del Consiglio Conte: il Mes non sarebbe adeguato in quanto le sue condizioni di utilizzo presuppongono crisi “asimmetriche”.
In altre parole, il Fondo salva-stati è nato per fornire credito agli stati che, per loro colpe, hanno perso la fiducia degli investitori e non riescono più a finanziarsi a tassi sostenibili.

Che cosa fa dunque il Mes?
Presta denaro allo stato in difficoltà a condizione, però, che il suo governo assuma una serie di decisioni che gli permettano di recuperare la fiducia degli investitori.

Tipicamente, si tratta di tagliare spese e aumentare le imposte in modo da riequilibrare un eventuale squilibrio di bilancio. La logica di questi interventi di politica economica (e la relativa efficacia) è stata spesso messa in discussione, ma eviteremmo di dilungarci su questo aspetto.
Basti tenere a mente che il prestito erogato dal Mes impone allo stato che lo riceve la sua restituzione e la richiesta di un piano condiviso di provvedimenti correttivi. L’esame sulla sostenibilità del debito, infatti, è precondizione necessaria perché i fondi possano partire dal Mes.

Più arduo riassumere dettagliatamente in cosa consisterebbero i coronabond tanto invocati dall’Italia e dalla Francia. La differenza fondamentale rispetto all’intervento del Mes è che queste emissioni di titoli non presupporrebbero alcuna valutazione sulla sostenibilità del debito del singolo Paese e (almeno in teoria) non introdurrebbero nuovi vincoli di politica economica al di là di quelli già previsti dai trattati.

A garantire la solvibilità del coronabond, poi, non sarebbe un singolo Paese, bensì tutti i membri dell’Eurozona congiuntamente. I Paesi a debito più elevato, così, potrebbero beneficiare della “credibilità” degli stati dalle finanze più solide, potendo finanziare le spese emergenziali a tassi d’interesse più contenuti rispetto a quelli cui sarebbero stati soggetti emettendo debito nazionale.

D’altro canto, per i Paesi più solidi l’introduzione di questo strumento sarebbe di fatto una concessione ai Paesi ad alto debito: da un punto di vista strettamente economico Olanda e Germania non hanno alcun bisogno di uno strumento di debito comune per ridurre i propri costi di finanziamento: infatti i tassi d’interesse sui titoli di stato tedeschi sono fra i più bassi al mondo.

Dal punto di vista tedesco, pertanto, il Mes consentirebbe di “responsabilizzare” maggiormente il percettore in quanto quest’ultimo rimarrebbe l’unico responsabile della restituzione del denaro ricevuto, senza garanzie comuni attraverso le quali condividere (o “scaricare”) eventuali inadempienze.