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Borsa: se nulla scalfisce i rialzi è merito dei fondi comuni

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Fatta eccezione per la sterlina, i mercati finanziari continuano pressoché all’unisono fare astrazione dai problemi politici di Stati Uniti, Brexit e altri paesi industrializzati. Tanto che la prova dell’azionario, in fase rialzista ormai da marzo 2009, è da iscrivere negli annali dei record borsistici.

Oltre alle incertezze create dalla situazione in divenire del processo di addio del Regno Unito al blocco dell’Europa unita dopo l’esito del referendum di un anno fa, le situazioni di instabilità sono numerose sul piano geopolitico: la minaccia all’Occidente dell’Isis, il programma nucleare in Corea del Nord, le sanzioni contro l’Iran e la Russia, le guerre in Yemen e in Siria, senza contare i persistenti conflitti politici tra Pakistan e India e nel mare Cinese Meridionale. Nessuno di questi fattori sembra però scalfire i rialzi dei listini di Borsa.

Un fattore potrebbe rivelarsi determinante e mandare in subbuglio la Borsa: circa mille miliardi di dollari saranno ritirati dai mercati nei prossimi anni allo scopo di ridurre la mole dei bilanci ‘monstre’ di Bce e Fed. Il processo avverrà con una certa gradualità e Mario Draghi e Janet Yellen faranno di tutto per non sconvolgere i mercati. Si tratta comunque di un ritorno alla normalità che potrebbe causare scossoni sui mercati che sembrano anestetizzati, con la volatilità ai minimi assoluti.

Se si pensa che i prezzi degli asset di Borsa hanno raggiunto valori massimi, inanellando record su record, allora la situazione diventa sconcertante, tale da non fare dormire sonni tranquilli al premio Nobel per l’Economia Robert Shiller. Se ci si rifà alla teoria della finanza comportamentale l’andamento attuale di Borsa è aberrante: in un contesto di euforia che perdura nel tempo sui mercati, alcuni segnali di ansia dovrebbero apparire. Invece il clima è tutt’altro che nervoso a giudicare dalla performance del Vix.

La configurazione attuale di Borsa – volatilità ai minimi, tassi bassi e prezzi degli asset record – invita alla prudenza. Ciononostante gli investitori – sebbene con cautela – continuano a comprare senza preoccuparsi del fatto che i mercati sono strasopravvalutati, se si guarda ai misuratori dei rapporti tra prezzi di Borsa e fondamentali reali. L’economia cresce del 2% di media in Usa e anche se i profitti salgono del 10% in confronto, i valori dei titoli azionari sono decisamente sproporzionati.

Gli operatori che sono rimasti sul mercato senza preoccuparsi di questo o quell’indicatore per ora se la sono cavata bene. La domanda che gli analisti si pongono ora è: quando durerà e cosa potrebbe cambiare le cose. Ora che il mondo finanziario si appresta a “celebrare” ricorrenze importanti negative (come i crac del 1987, del 1997 (in Asia) e del 2007 in Usa), fino a quando la Borsa continuerà a sfidare il buon senso?

Rialzi di Borsa: l’importanza dei fondi ETF

Senza dubbio ancora per un po’, grazie all’importanza crescente assunta dai fondi a gestione passiva. L’estate potrebbe sempre farsi bollente se scoppierà una crisi maggiore e anche le incertezze interne politiche in Usa stanno mettendo a dura prova la stabilità dei mercati azionari. Ma dopo lo scoppio dell’ultima crisi la struttura di Borsa si è “trasformata in maniera profonda”, come sottolinea il quotidiano svizzero Le Temps.

La gestione passiva è sempre più di moda, contribuendo a questi cambiamenti. Sia che si tratti di ETF o dell’insieme dei nuovi strumenti indicizzati che hanno visto la luce di recente, le cifre sono impressionati: secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch, ora i fondi comuni ETF a gestione passiva – meno cari della gestione attiva – rappresentano il 24% dei volumi scambiati sui mercati americani.

Dal 2009 il rapporto dei fondi dell’azionario americano gestiti in modo passivo dalla troika mastodontica dell’universo degli investimenti BlackRock, Vanguard e State Street sono raddoppiati e toccano ormai il 37% del totale. L’Europa non è da meno: la quota di mercato della gestione passiva arriva al 15% nel 2016 contro il mero 2% del 2002, secondo i dati raccolti da Deloitte.

Si tratta ormai di un potere pressoché incontrastato che detta giocoforza l’andamento di Borsa e le oscillazioni di prezzo degli asset finanziari.