Mercati finanziari cauti in vista dell’evento market mover della settimana, rappresentato dalla riunione del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed. Altri market mover di Piazza Affari, in particolare, sono la formazione della squadra del nuovo governo Gentiloni, che oggi sarà sottoposto alla prova della fiducia e l’aumento di capitale del valore di 13 miliardi di euro che è stato varato da UniCredit.
Tra le banche italiane, ancora fari su MPS, dopo la decisione dell’AD Marco Morelli di andare avanti con il piano che prevede la soluzione di mercato per raccogliere 5 miliardi di euro di nuovo capitale. In caso di flop dell’operazione, Mps beneficerà dell’assist dello Stato.
Oggi inizia la riunione del Fomc, che si esprimerà domani con l’annuncio del rialzo dei tassi che i mercati danno ormai per scontato. Le incognite sono più che altro sul contenuto del comunicato con cui la Fed di Janet Yellen motiverà la propria decisione. Proprio l’attesa per le mosse della Fed, unite alle aspettative sulla politica economica che sarà inaugurata dal presidente eletto Donald Trump hanno scatenato la recente corsa del dollaro, soprattutto nei confronti dello yen (il cambio quota oltre JPY 115) alimentando allo stesso tempo brusche vendite sui bond sovrani di tutto il mondo, in particolare sui Treasuries Usa.
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Focus sull’aumento di capitale del valore di 13 miliardi di euro che è stato varato da UniCredit.La bancarealizzerà una svalutazione di asset e crediti per 12,2 miliardi nel quarto trimestre dell’anno contestualmente ad un processo di riduzione del rischio che prevede una cartolarizzazione di 17,7 miliardi di sofferenze (Npl) di cui è prevista poi la cessione. A tal proposito UniCredit ha siglato due accordi per la cessione delle sofferenze con Fortress e Pimco.
“Il piano industriale di Unicredit prevede ulteriori 6.500 esuberi netti entro il 2019, per una riduzione totale netta degli FTE (ovvero dipendenti a tempo pieno) di circa 14.000 unità entro il 2019”. E’ quanto comunica la nota sul piano industriale della banca diramata stamattina. Il piano strategico di UniCredit comporterà risparmi annui ricorrenti netti per un valore di 1,7 miliardi di euro dal 2019 e un rapporto costi/ricavi che sarà inferiore al 52% a partire dal 2019.
Avvio al ribasso per l’indice di riferimento dell’azionario europeo Stoxx Europe 600 Index.
I settori migliori e peggiori in Europa. Le banche sono sotto pressione, con l’indice di riferimento europeo che arretra di oltre -1%.


Piazza Affari in lieve rialzo, ma in generale in Europa prevale la cautela in vista dell’appuntamento Fed.


Il titolo UniCredit, scambiato sull’indice Ftse Mib di Piazza Affari sale di oltre +3%.
E’ vero e proprio boom per le quotazioni di Mediaset, dopo la nota con cui il colosso francese Vivendi ha reso noto di aver portato la sua partecipazione al 3%, aggiungendo di puntare a diventare il secondo maggiore azionista della società salendo fino al 20% del capitale. Il titolo Mediaset è in asta di volatilità e mette a segno un rally teorico di quasi +26% , a 3,422 euro.
Questa la performance dei principali indici di Borsa in Asia. Shanghai recupera terreno, ma chiude attorno alla parità.
Gli indici azionari Usa hanno concluso così la giornata di contrattazioni della vigilia.
Diventa sempre più ripida la curva dei rendimenti sui Treasuries Usa. Ieri i tassi decennali sono saliti oltre il 2,5% per poi ritracciare nel finale.

I prezzi del petrolio battono in ritirata dopo la corsa di circa il +4% della vigilia. Il motivo della frenata è da ricercare nei dubbi sorti sull’impegno reale dei principali paesi esportatori della materia prima a ridurre effettivamente come concordato la produzione.
Sui mercati i future con scadenza gennaio sul Wti americano scambiano in calo di mezzo punto percentuale in area 52,58 dollari al barile (-25 centesimi). Il contratto con consegna febbraio sul Brent inglese cede invece lo 0,3% (-17 centesimi) attestandosi a quota $55,52 al barile. In Borsa il settore petrolifero sta schiacciando al ribasso i listini azionari in Europa.
Se implementato, l’accordo per tagliare la produzione di petrolio stretto da paesi membri dell’Opec lo scorso weekend dovrebbe spingere il valore del petrolio nella fascia di $60-$70 al barile. Significa che i mercati non credono del tutto alla retorica dell’Opec, riconoscendo i potenziali rischi che l’intesa non venga messa in pratica. Ieri le quotazioni hanno toccato i massimi da luglio 2015.
Il fatto che una stretta monetaria, la seconda in dieci anni e la prima da 12 mesi, sia scontata, non vuol dire che la riunione non sia ricca di spunti interessanti. Innanzitutto si tratta del primo meeting della banca centrale da quando è stato eletto Donald Trump, che ha spesso criticato senza peli sulla lingua l’operato di Janet Yellen e soci. “La riunione potrebbe risultare più importante di quanto il mercato si aspetti“, avverte Francois Rimeu, Head of Cross-Asset di La Française Asset Management.
Detto questo, la Fed difficilmente esprimerà la volontà di dare un’accelerazione al passo con il quale verranno imposti rialzi del costo del denaro l’anno prossimo. Questo, secondo il gestore, per i seguenti motivi:
-da mesi la Fed va dicendo che il ritmo delle strette monetaria dipenderà dai dati macro e Yellen dovrebbe ribadire questo concetto;
-il piano di stimolo fiscale di Trump è ancora troppo vago per essere preso sul serio e per essere sicuri che si concretizzi;
-la Fed non ha alcuna intenzione di impaurire i mercati, in particolare visto lo slancio che hanno già preso i mercati obbligazionari;
-se tutto dovesse andare come previsto, la reazione del mercato sarà positiva per l’azionario e i mercati emergenti, mentre sarà leggermente negativa per i rendimenti obbligazionari e il dollaro.
Nonostante il passo indietro del settore petrolifero, l’azionario Usa dovrebbe continuare a inanellare record oggi. Il Dow Jones ieri ha toccato un nuovo livello massimo assoluto, anche se i rialzi non hanno interessato tutti gli indici della Borsa Usa, con il Nasdaq che ha chiuso in negativo. In avvio della seduta odierna è invece l’S&P 500 che rischia di partire in ritardo rispetto agli altri due listini. Il paniere delle blue chip ormai punta a quota 20000.
Nonostante il passo indietro del settore petrolifero, l’azionario Usa dovrebbe continuare a inanellare record oggi. Il Dow Jones ieri ha toccato un nuovo livello massimo assoluto, anche se i rialzi non hanno interessato tutti gli indici della Borsa Usa, con il Nasdaq che ha chiuso in negativo. In avvio della seduta odierna è invece l’S&P 500 che rischia di partire in ritardo rispetto agli altri due listini. Il paniere delle blue chip ormai punta a quota 20.000 punti.
Il petrolio riprende forza e ora scambia in rialzo dello 0,5% circa, nonostante gli ultimi dati sulla produzione di petrolio mostrino come i paesi membri dell’Opec abbiano continuato a estrarre greggio a ritmi record in novembre. L’idea dominante del mercato è tuttavia che i mercati del petrolio saranno più equilibrati nella prima metà del 2017 rispetto a fine 2016.
Nelle ultime quattro sedute i prezzi del petrolio si sono rafforzati di quasi il 4%.
Dollaro in lieve ribasso sul valutario dopo la pubblicazione degli ultimi dati macro sul commercio in Usa. I prezzi alle importazioni sono scesi dello 0,3% in novembre, con la cifra su base annuale che è stata del -0,1%. I prezzi all’export si sono invece ridotti dello 0,1% rispetto a ottobre; su novembre 2015 sono calati dello 0,3%.
Non si spegne l’effetto Trump a Wall Street, con il Dow Jones che aggiorna i record e si avvicina alla soglia dei 20mila punti. La Borsa americana ha chiuso in positivo 15 sedute da quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti.
Dopo un tentennamento iniziale i titoli UniCredit hanno fatto un balzo del +15% circa oggi in Borsa. L’annuncio di un maxi piano di aumento di capitale da 13 miliardi, il maggiore di sempre in Italia, per aumentare la redditività a lungo termine e ripulire il bilancio.
A Piazza Affari la notizia del piano, che sarà accompagnato da un programma di riduzione massiccia dei costi e del personale, ha nelle prime battute messo pressione sui titoli, i quali sono però riusciti a trovare in fretta l’abbrivo necessario per risalire.
Piazza Affari ha chiuso in forte rialzo, trascinata da Unicredit e Mediaset, favorita dalla voci di un’Opa ostile da parte di Vivendi. Il listino Ftse MIB ha guadagnato il 2,49% a quota 18.827,61 punti. Buona in generale la performance dei titoli bancari, a parte Banco Popolare e Pop Milano. Richieste in particolare Intesa e Ubi. Ancora al rialzo i titoli petroliferi come Enel, Eni e Saipem. Negative Tenaris e Generali.
Piazza Affari ha chiuso in forte rialzo, trascinata da Unicredit e Mediaset, favorita dalla voci di un’Opa ostile da parte di Vivendi. Il listino Ftse MIB ha guadagnato il 2,49% a quota 18.827,61 punti. Buona in generale la performance dei titoli bancari, a parte Banco Popolare e Pop Milano. Richieste in particolare Intesa e Ubi. Ancora al rialzo i titoli petroliferi. Negative Tenaris e Generali.
Anche le altre Borse europee hanno chiuso in progresso ma con guadagni meno entusiasmanti. L’indice EuroStoxx50 si attesta in rialzo 1,3%, trainato da Airbus, Sanofi, Unibail e Intesa. In leggero ribasso invece Ing, Axa e CRH.
Tra gli altri mercati, il petrolio Wti frena un po’ dopo i guadagni precedenti e si attesta sotto i 53 dollari al barile (contratto Wti con scadenza a gennaio). Sul valutario il cambio euro dollaro non si discosta di molto dai prezzi iniziali con la moneta unica che quota 1,065 dollari in attesa della riunione della Fed.
Mentre prende il via la due giorni di riunione di politica monetaria della Fed l’azionario Usa rallenta leggermente il passo pur rimanendo sopra i livelli di parità. Gli analisti si aspettano che Janet Yellen e soci mantengano un approccio “colomba” per il 2017, nonostante il rialzo scontato dei tassi di 25 punti base, il secondo in dieci anni di tempo.
L’indice Nikkei della borsa di Tokyo ha chiuso le contrattazioni in rialzo dello 0,50%, a quota 19.250,52 punti. Focus su Hong Kong, che ha scontato la decisione della banca centrale di introdurre un’imposta di bollo ad valorem del 15% su tutte le proprietà residenziali, per cercare di evitare il surriscaldamento del mercato immobiliare.