Economia

Come la Francia usa il CFA per garantire parte del debito

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Il tema è vecchio e noto, ma proprio in questi giorni sta tornando alla ribalta.

Vuoi per l’evolversi degli scenari in Francia, vuoi per un crescente euroscetticismo, negli ultimi tempi si fa un gran parlare della questione legata al CFA, ovvero il Franco Centrafricano (Comunità Finanziaria Africana).

Ancora circa sette anni fa ne parlava l’economista Alberto Bagnai, ponendo l’attenzione su questioni inerenti alla sovranità monetaria. Ad oggi, la domanda è: se la questione del CFA relativa alla sovranità monetaria dei Paesi africani che adottano questa moneta spaventa tanto, perché non ci preoccupiamo allo stesso modo dell’euro?

Recentemente, alla trasmissione “Che tempo che fa”, Alessandro Di Battista ha dichiarato in merito alla questione:

“Attualmente la Francia, vicino Lione, stampa la moneta utilizzata in 14 paesi africani, tutti i paesi della zona subsahariana. I quali, non soltanto hanno una moneta stampata dalla Francia, ma per mantenere il tasso fisso, prima con il franco francese e oggi con l’euro, sono costretti a versare circa il 50 per cento dei loro denari in un conto corrente gestito dal tesoro francese…ma soprattutto la Francia, attraverso questo controllo geopolitico di quell’area dove vivono 200 milioni di persone che utilizzano le banconote di una moneta stampata in Francia, gestisce la sovranità di questi paesi impedendo la loro legittima indipendenza, sovranità fiscale, monetaria e valutaria, e la possibilità di fare politiche economiche espansive”.

In realtà a emettere la moneta non è la banca centrale francese, come spiega il sito LaVoce.info in un esauriente fact checking che smentisce parte dell’argomentazione critica di Di Battista (che confine il posto di dove si stampa denaro da quello dove si emette), bensì le singole banche centrali africane. A stampare la moneta sono anche due fabbriche francesi, ma questo non significa nulla. Stampare è questione di tecnologia, ma non dà alcun “potere” decisionale monetario.

Il sistema di cambi fissi è garantito dalla Banca centrale francese, che in cambio del servizio offerto chiede che gli Stati africani depositino il 50% delle riserve valutarie in moneta estera presso il Tesoro francese (si tratta di riserve, quindi, e non di “denari” come sostiene Di Battista), in un conto di trading che corrisponde interessi e che è aperto a loro nome. Si stima che il valore di queste riserve sia pari a 10 miliardi di euro circa.

“Ogni politica di tasso di cambio fisso – spiega La Voce.info – richiede una riserva di valuta estera (in questo caso, l’euro) a garanzia. E le riserve in valuta estera si possono tenere soltanto in banche commerciali dell’area valutaria di riferimento oppure nella sua banca centrale”.

Prima di Di Battista, anche il sito Scenarieconomici.it – che ha una linea editoriale euro scettica e che ha ospitato spesso sulle sue pagine commenti del ministro del governo attuale Paolo Savona – aveva trattato l’argomento, sostenendo più precisamente che il funzionamento del CFA segue l’esempio sottostante:

  • Mandate l’euro per la scuola in Senegal;

  • L’euro va a Parigi;

  • Parigi trattiene l’euro, lo cambia in franco CFA, ma solo la metà viene mandata in Africa;

  • Queste riserve in euro depositate in Francia sono investiti in Titoli di Stato francesi.

Un video della RAI con dichiarazioni di professori universitari, che può essere definito un mini documentario, è facilmente reperibile al link e ne spiega in maniera sintetica ma chiara il funzionamento, mettendo in evidenza le criticità e i problemi della situazione. Detto questo, non si può parlare di imposta coloniale, come fanno alcuni.

I Paesi africani che fanno parte della cosiddetta “zone franc” e che utilizzano il CFA sono 14: Camerun Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. I primi sei Paesi hanno il Franco CFA CEMAC (Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale), gli altri otto hanno il Franco CFA UEMOA (Unione economica e monetaria occidentale africana).

Wikipedia riporta che gli accordi che vincolano i due istituti centrali con le autorità francesi sono identici. Sono in vigore da quando sono stati firmati due trattati tra il 1959 e il 1962 (dopo la conquista dell’indipendenza da parte dei paesi africani sopra citati) e prevedono le seguenti clausole:

  • Un tipo di cambio fissato alla divisa europea;

  • Piena convertibilità delle valute con l’euro garantita dal Tesoro francese;

  • Fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del CFA (almeno il 65% delle posizioni in riserva depositate presso il Tesoro francese, a garanzia del cambio monetario);

  • In contropartita alla convertibilità era prevista la partecipazione delle autorità francesi nella definizione della politica monetaria della zona CFA.

Questo sistema permette chiaramente una grande fiducia nella stabilità della moneta del paese africano dell’area. Per gli investitori, infatti, il legame con l’euro viene considerato come una garanzia monetaria.

Il franco CFA ha sempre mantenuto la parità rispetto al franco francese, salvo in casi particolari; dopo l’introduzione dell’euro, il valore del franco CFA è stato agganciato alla nuova valuta. Gli Stati africani sono loro per primi d’accordo nel mantenere il sistema di cambio fisso, che contribuisce a scongiurare inflazioni galoppanti nei paesi più vulnerabili, garantendo un’economia più solida.

14 paesi africani contribuiscono a sostenere il debito francese

La divisa straniera che viene convertita in franco CFA viene mandata alle banche centrali africane, ma il 50% deve restare in Francia come garanzia. La Francia trattiene la metà delle riserve in valuta estera: 10 miliardi che aiutano a finanziare il debito pubblico. Di fatto i paesi africani contribuiscono pertanto a sostenere il debito francese.

In cambio ottengono una moneta forte, che tuttavia non sempre offre una situazione ideale per alcuni paesi che invece forse preferirebbero svalutare e investire maggiormente. Il franco CFA è una moneta forte, soltanto che dietro c’è spesso una moneta debole. È una divisa sopravvalutata del 10-15%. Inoltre le banche di questi paesi di solito preferiscono non prestare troppo  denaro, per evitare un incremento dell’inflazione, che metterebbe a rischio la salvaguardia del tasso di cambio fisso.

Sebbene sia la Banca di Francia e non la Banca centrale europea a continuare a garantire la convertibilità del franco CFA, la parità con l’euro obbliga le Banche centrale dell’area CFA a sottostare alla politica monetaria della Bce. I paesi africani dell’area “franco” sono costretti  a mantenere l’inflazione sotto il 2 % per la UEMOA e sotto il 3 % per la Cemac, subendo le conseguenze di una moneta forte,  talvolta poco adatta al contesto regionale che ne limita gli investimenti pubblici.

Questa tematica ha dunque notevoli impatti sull’economia, ovviamente, che a sua volta impatta sulla qualità della vita. Come riporta l’agenzia di stampa Agi, nei paesi che adottano la valuta il reddito pro capite è inferiore al resto del continente.

Secondo quanto dichiarato da Chiara Barison di Tfm.tv nel documentario della trasmissione Night Tabloid (vedi video sotto) “questo fattore è uno dei motivi per cui tanti senegalesi decidono di avventurarsi in progetti migratori regolari o irregolari”.

Insomma, tanta carne al fuoco che davvero varrebbe la pena fosse affrontata con la giusta serietà, senza considerare il già enorme ritardo. La questione CFA non è solo africana o francese, ma anche europea e sembra davvero ridicolo che l’Ue si impunti testardamente quando si tratta di discutere sullo “zero virgola…” del deficit italiano, ma permetta operazioni distorte del genere.