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Unicredit-Banco Bpm: pro e contro di una potenziale fusione

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Negli ultimi giorni si è tornato a parlare con insistenza di una possibile fusione tra Unicredit e Banco Bpm, due colossi del sistema bancario italiano. Un matrimonio di cui si vocifera da tempo, ma che ha incontrato diversi ostacoli, tra cui lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e da ultimo i recenti dissesti nel settore finanziario, determinati dai fallimenti delle banche americane e dal salvataggio di Credit Suisse. Vediamo quali potrebbero essere i pro e i contro dell’operazione.

Sinergie di costo e maggiore competitività in Europa

Un’eventuale fusione potrebbe apportare rilevanti benefici ad entrambi gli istituti. Innanzitutto, permetterebbe di contenere i costi operativi e di gestione, eliminando alcune sovrapposizioni di attività, con un conseguente incremento della redditività. Inoltre, la banca risultante dalla combinazione potrebbe disporre di un’offerta ampliata di soluzioni finanziarie per soddisfare le diverse esigenze della nuova base clienti.

Perdipiù, la nuova realtà avrebbe dimensioni che le consentirebbero di competere meglio in ambito europeo, con una capacità di investimento potenziata e maggiori opportunità di crescita. Il tutto, con riflessi positivi per il sistema bancario italiano e per l’economia del Paese.

Razionali industriali e aumento EPS

Secondo Equita Sim, l’operazione “avrebbe un forte razionale industriale, in quanto rafforzerebbe in modo significativo il posizionamento competitivo di Unicredit in Italia (con la quota di mercato complessiva che, in termini di filiali, passerebbe dall’11% al 18%, dal 10% al 20% al Nord)”.

Tra i vantaggi, Equita ha sottolineato anche lo “spazio per una elevata EPS accreation (> 15% post sinergie) anche a fronte del riconoscimento di un premio significativo a favore degli azionisti di Banco BPM e senza compromettere la solidità patrimoniale della combined entity”.

Inoltre, ricordano gli analisti, in occasione dell’approvazione dei conti del quarto trimestre 2022 il CEO Orcel ha indicato che “entro fine anno la banca avrebbe definito l’utilizzo del suo eccesso di capitale, che stimiamo in area 6-7,5 miliardi sulla base di un CET1 target di 12,5-13%”. Ricordiamo che il CET1 ratio pro-forma per la distribuzione di Unicredit è pari al 14,9% alla fine dell’anno 2022.

L’apprezzamento di Unicredit faciliterebbe la fusione con Banco Bpm

Un fattore che potrebbe giocare a favore dell’operazione è l’apprezzamento delle azioni Unicredit. Nell’ultimo anno, la capitalizzazione di mercato dell’istituto è più che raddoppiata, sostenuta dalla generosa politica di remunerazione degli azionisti promossa dal Ceo Orcel.

Tra dividendo e riacquisto di azioni proprie, infatti, l’istituto di Piazza Gae Aulenti ha previsto una distribuzione totale di valore agli azionisti per il 2022 pari a 5,25 miliardi di euro, in aumento del 40% rispetto al 2021.

Come sottolineato da Equita SIM, “il repricing di Unicredit ha portato il concambio azionario a oltre 5,2 azioni Banco Bpm, rispetto a 4,1x del febbraio 2022”, quando già si parlava insistentemente di un matrimonio fra le due banche, prima dello scoppio della guerra.

Possibili inefficienze e tagli di posti di lavoro

Dall’altro lato, non mancano i dubbi legati ad un’eventuale aggregazione. Innanzitutto, l’integrazione di due realtà così grandi necessiterebbe di un lungo periodo di assestamento, con potenziali perdite di efficienza. Inoltre, la sovrapposizione di alcune attività potrebbe determinare significativi tagli del personale e chiusure di filiali, oltre a creare confusione nella clientela.

La fusione rischierebbe anche di generare un’eccessiva concentrazione nel sistema bancario italiano, limitando la concorrenza e la scelta dei clienti finali.

Infine, chiuderebbe quasi definitivamente la porta ad un’eventuale acquisizione di Mps, complicando i piani dello Stato di privatizzazione della banca senese.

I pareri dei soggetti coinvolti di Unicredit e Banco Bpm

Di particolare rilevanza saranno le opinioni dei soggetti parte in causa. La presenza di Credit Agricole come primo azionista di Banco Bpm (con il 9,904% del capitale, in aumento dal precedente 9,18%) gioca a sfavore della fusione con Unicredit, così come la volontà del governo di spingere per una cessione di Mps.

Il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi e l’Ad di Unicredit, Andrea Orcel, potrebbero eventualmente aprire una discussione, anche se le priorità sembrano essere altre.

Un concetto ribadito anche dal Ceo di Piazza Meda Giuseppe Castagna, riconfermato numero uno del gruppo, secondo il quale è più importante continuare a “crescere autonomamente”, e attuare una revisione del piano industriale, visto che la banca sta già battendo i target finanziari.

“Una delle nostre priorità più importanti per i prossimi mesi sarà l’aggiornamento del nostro piano industriale su base stand-alone che, sono sicuro, riuscirà a tendere verso il miglioramento dei target recentemente annunciati”, ha dichiarato il Ceo.