Economia

Spread mai così alto dal 2013: paura per agenzie di rating ed emergenti

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La carta italiana è sotto pressione sul mercato secondario. Lo Spread italiano continua a scambiare intorno a livelli record: il differenziale di rendimento tra Btp e Bund decennali ha toccato giovedì 30 agosto i livelli più alti in oltre cinque anni e oggi scambia sopra i 290 punti base (vedi grafico in fondo).

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha tentato di placare il nervosismo, dicendo che nella prossima manovra finanziaria punta a un rapporto tra deficit e Pil sopra l’1,5% senza sforare il tetto Ue, un livello molto inferiore a quello temuto dagli investitori.

Il problema è capire come il governo intende arrivare a quella cifra viste le tante misure in deficit allo studio, tra cui flat tax, reddito di cittadinanza e riforma della legge Fornero. Senza contare il tentativo (costoso) di impedire un aumento automatico dell’IVA nel 2019.

A influire negativamente sono la tempesta che si è abbattuta sulle valute dei mercati emergenti e la paura per un giudizio negativo delle agenzie di rating. C’è grande trepidazione in vista della proposta di legge di bilancio di fine settembre, che potrebbe mostrare un’espansione fiscale superiore a quella prevista dalla legislazione vigente.

I tassi dei Btp a cinque e due anni (1,3%) hanno sfiorato i massimi di tre mesi, mentre il titolo di riferimento a 10 anni ha un rendimento che non si vedeva dal 29 maggio (in area 3,24%), giorno in cui sul debito pubblico italiano si è abbattuta una pioggia di vendite in seguito allo scoppio di una crisi istituzionale senza precedenti.

L’Italia non è l’unico paese dell’area euro a subire le pressioni dei ribassisti però sorprende vedere il gap di fiducia con il Bonos spagnoli all’1,76%, i massimi dalla crisi del debito sovrano europea.

A pesare sui Btp non sono soltanto le incertezze legate alla legge di bilancio autunnale che dovrebbe essere presentata dalla coalizione di governo a fine settembre: gli analisti citano tra i fattori negativi un’avversione globale al rischio, motivata dalle turbolenze dei mercati emergenti e dall’intensificarsi delle tensioni commerciali tra Cina e Usa e tra Usa ed Europa.

Tutto questo spinge gli investitori a rifugiarsi in asset sicuri e disdegnare titoli legati al debito pubblico italiano, che si è attestato al 133,4% del Pil nel primo trimestre 2018, prima della decisione di Fitch, oggi a mercati chiusi.

L’Italia è a due gradini dal baratro, ovvero dal giudizio degradante di spazzatura (livello speculativo). Le agenzie Fitch, Moody’s, Standard & Poor’s e DBRS si pronunceranno sulla qualità del credito italiano tra il 31 agosto e la metà di settembre.

Si inizia con Fitch venerdì 31 agosto e si finisce con Moody’s entro fine ottobre, dopo la pubblicazione dell’attesissima legge di bilancio, la prima della coalizione di governo insediatasi a maggio.

Il debito pubblico (al 133% circa del PI è il secondo maggiore dell’area euro) non dà segno di scendere, mentre il Pil cresce in maniera molto fiacca nonostante il contesto di ripresa economica globale e le prospettive future sono poco incoraggianti.