Economia

Pensioni, la spesa aumenta del 7,9% per colpa dell’inflazione

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La spesa per le pensioni, nel 2023, registrerà un’impennata del 7,9%. Il costo maggiore è determinato dagli aggiustamenti che gli assegni previdenziali hanno subito quest’anno a causa dell’inflazione. Queste, sostanzialmente, sono le indicazioni che emergono sull’impatto della rivalutazione delle pensioni che avverrà a gennaio, contenuta all’interno del quadro tendenziale della Nadef, consegnato direttamente dall’esecutivo guidato da Mario Draghi al Parlamento e al governo di centrodestra neoeletto.

Crescono le uscite previdenziali. Le pensioni sono state rivalutate per mantenere il potere d’acquisto degli assegni mensili. Ad accendere i riflettori sulle maggiori uscite ci aveva già pensato il Def nel corso del mese di aprile: in quel momento era stato messo in evidenza che la spesa sarebbe lievitata del 7,4% rispetto ai 296,5 miliardi ipotizzati per il 2022. Adesso è arrivato un ulteriore aggiornamento: i costi sono cresciuti di un ulteriore 0,5%, portando a 23,5 miliardi di euro la differenza tra la stima prevista per il 2023 e il risultato atteso per quest’anno.

Pochi margini di manovra per le pensioni

Il focus sulla spesa prevista per le pensioni nell’ultima Nadef – che è bene ricordare è l’ultima che porta la firma Draghi-Franco – è a tutti gli effetti un monito per Giorgia Meloni e per il costituendo governo di centrodestra. Le uscite previdenziali tornano a crescere: la conseguenza potrebbe portare a un inevitabile ritorno della Legge Fornero. Lo scenario che si sta prefigurando porta ad azzerare, se non completamente almeno in parte, la possibilità di nuovi interventi di finanza pubblica che possano andare incontro alle aspettative della coalizione vincente e degli stessi lavoratori.

Molto probabilmente, i maggiori costi per la rivalutazione degli assegni previdenziali potrebbero costringere il governo a recuperare qualcosa come 8-10 miliardi di euro con la manovra. Ma non solo: a seguito del rallentamento dell’economia previsto dalla nota di aggiornamento al Def, i maggiori costi potrebbero sbarrare la strada a soluzioni come Quota 41 e restringere la possibilità ad altre soluzioni più flessibili per uscire dal mondo del lavoro.

Ricordiamo che una maggiore flessibilità in uscita dal mondo del lavoro è uno dei punti fondamentali del programma di centrodestra. Non si era fatto, comunque, riferimento, a quale tipo di misure si volessero adottare. Giorgia Meloni, su questo punto, è stata particolarmente cauta.

Le richieste dei sindacati

Nel caso in cui alla guida del Ministero del Lavoro dovesse essere chiamato un esponente della Lega, una delle questioni che dovranno essere dibattute immediatamente è quella relativa a Quota 102, in scadenza il 31 dicembre 2022.

Ad attendere delle risposte immediate ci sono anche i sindacati. Luigi Sbarra, leader della Cisl, ha annunciato una mobilitazione nel caso in cui il nuovo governo non dovesse aprire un tavolo di discussione sulle pensioni. La proroga dell’Ape sociale e di Opzione Donna a Cgil, Cisl e Uil non basta. La Lega ed i sindacati non vogliono nemmeno sentire parlare di un prolungamento di Quota 102, che chiuderà la propria esperienza con poco meno di 10.000 uscite. Un sostanziale insuccesso, considerando che erano state stimate almeno 16.800 uscite a inizio anno.