Jackson Hole, in partenza oggi 24 agosto, vedrà l’attenzione dei mercati particolarmente concentrata sui possibili segnali da Mario Draghi in merito alla futura normalizzazione della politica monetaria della Bce. Come avevamo già ricordato, la Banca centrale europea si appresta a ridurre il volume dei suoi acquisti di asset in un contesto economico incerto: se da un lato l’economia appare in ripresa, dall’altro l’inflazione è in fase di rallentamento, in un territorio al di sotto dei target.
Le previsioni di Francoforte indicano che il livello generale dei prezzi salirà dell’1,5% nel 2017, dell’1,3% nel 2018 e dell’1,6% nel 2019, stime peraltro riviste al ribasso rispetto a quanto calcolato lo scorso marzo (rispettivamente 1,7%; 1,6%; 1,7%). L’inflazione (Hicp) dell’area euro, dopo aver toccato il 2% a febbraio (latitava dal gennaio 2013) è tornata a scendere all’1,3% di luglio.
Eppure, la disoccupazione è diminuita: secondo la logica economica tradizionale espressa dalla curva di Phillips, i prezzi dovrebbero andare nella direzione opposta, alimentando l’inflazione per via dell’aumento del potere d’acquisto. Come evidenziato dai verbali della Bce di luglio, il consiglio direttivo ha dibattuto a lungo sulle cause di “morte” della curva di Phillips, quella che descrive la relazione inversa fra livello dei prezzi e tasso di disoccupazione. Entrambi i fattori sono importanti per determinare la politica monetaria.
La scomparsa della curva di Phillips, si ipotizza nell minute Bce, sarebbero dovute a “cambiamenti nei mercati del lavoro, dei contratti di lavoro e dei processi di determinazione dei salari, che hanno beneficiato delle riforme introdotte negli anni precedenti, le quali possono implicare una rottura strutturale della curva di Phillips”. Secondo quest’interpretazione, la moderazione dei salari, avendo ridotto le capacità di spesa di chi ha un lavoro, riduce l’effetto inflazionistico “naturale” che deriva dall’aumento della popolazione che percepisce un salario.
“La proliferazione di contratti di lavoro a basso stipendio, irregolari e poco stabili implicano che le pressioni del salario e il potere d’acquisto sono inibite anche quando la disoccupazione scende”, ha affermato l’economista di Positive Money, Edward Smythe a Cnbc.
Al di là delle conseguenze sociali di questa evoluzione, anche la stessa politica monetaria si trova di fronte a uno scenario inedito: da un lato è motivata a normalizzare la politica monetaria espansiva, che rischia di gonfiare bolle e riduce lo spazio d’intervento per le future crisi, dall’altro l’inflazione rischia di dirigersi nuovamente verso il basso, strutturalmente sotto gli obiettivi.
Jackson Hole potrebbe dunque essere l’occasione per comprendere come i banchieri centrali (e in particolare Mario Draghi), date queste premesse, intendano muoversi in futuro.