Economia

Germania dice no ed è Atene ora che lancia ultimatum. Fmi si tira fuori?

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ROMA (WSI) – La proposta della Grecia non ha fatto in tempo ad essere stata presentata, che è già arrivato il no della Germania. Monta la protesta greca contro l’Ue: fonti del governo hanno accusato alcuni paesi membri di non volere “soluzioni”.

Intanto Gerry Rice, il direttore comunicazione del Fondo monetario internazionale, afferma che “sta ovviamente ai partner europei e al governo greco decidere come meglio gestire la possibile estensione del programma Ue o i passi verso un nuovo programma”. Il programma del “Fondo monetario internazionale a sostegno della Grecia scadrà nel marzo 2016, quindi non ha bisogno di essere esteso a questo punto”.

“Per essere chiari, i due programmi sono collegati ma separati e al momento non ci sono discussioni sul piano Fmi”, anche perchè “la Grecia non ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale un nuovo programma”.

“C’è sempre flessibilità nei programmi del Fondo: questi si adattano alle circostanze, motivo per cui comunichiamo revisioni su base trimestrale. E’ una procedura standard che non riguarda solo la Grecia”

In tanto, Berlino ritiene insufficienti le proposte del governo Tsipras, che aveva ventilato l’ipotesi di utilizzare le riserve bancarie e tagliare il surplus primario all’1,5%.

Martin Jaeger, un portavoce del ministero tedesco delle Finanze, ha annunciato in un comunicato che “la lettera arrivata da Atene non è una proposta che porta a una soluzione”. In realtà “va nella direzione di un prestito ponte, senza rispettare le richieste del programma di aiuti internazionali” già concordato. Inoltre “La lettera non risponde ai criteri che erano stati stabiliti nell’Eurogruppo di mercoledì”.

Atene vuole concludere un accordo il più in fretta possibile, anche perché i soldi stanno finendo. Il governo del partito anti austerity ha fatto sapere che domani, venerdì, l’Eurogruppo ha davanti due possibilità soltanto: accettare o no il loro piano. Stavolta quindi l’ultimatum arriva dalla Grecia.

Nello specifico, la proposta di Syriza è di un taglio dell’avanzo primario al più abbordabile 1,5% e dell’utilizzo delle riserve bancarie, ma per ora l’Unione Europea non appare del tutto convinta.

“Stiamo facendo il possibile per raggiungere un accordo che sia benefico per tutti. L’obiettivo è concludere tale accordo presto”, ha detto Gabriel Sakellaridis a Skai TV. “Stiamo cercando di trovare i punti in comune”.

L’impressione generale è che Atene finirà per capitolare nel gioco del ‘pollo’ e alzerà lei per prima bandiera bianca.

Per alleviare le pressioni sul proprio sistema bancario, che ieri ha ricevuto un ulteriore aiuto dalla Bce, la Grecia propone di attingere agli 8 miliardi di euro di risore del Fondo ellenico per la stabilizzazione bancaria, con l’obiettivo di diminuire il peso delle sofferenze bancarie e riaprire i rubinetti del credito alle imprese.

La Bce ha alzato di altri 3,3 miliardi il plafond dei prestiti di emergenza agli istituti di credito ellenici. Ora il tetto dell’Ela ha raggiunto i 68,3 miliardi di euro. Ma non si sa fino a che punto ancora Draghi potrà sostenere il disastrato sistema bancario ellenico.

La richiesta per l’estensione dei prestiti di sei mesi, come confermato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, è stata presentata formalmente dalla Grecia oggi.

Se un’intesa con i creditori internazionali verrà raggiunta, il paese sarà sicuro di non finire i fondi al termine del programma di bailout attuale, che scade il 28 febbraio, tra poco più di una settimana.

Tuttavia la richiesta non significa che Atene accetterà gli accordi con la troika (Bce, Fmi, Commissione Ue) siglati dal precedente esecutivo, che includono l’adozione di severe misure di austerity.

Intanto scendono in campo gli Stati Uniti, che lanciano un monito alla Grecia. Il segretario al Tesoro Usa Jack Lew ha telefonato al ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, incitandolo a “passare ai fatti”, lanciando un avvertimento sulle “conseguenze gravi” senza un accordo.

Si deve “trovare un sentiero costruttivo in accordo con il Fmi e i ministri europei delle finanze”; ancora, “l’incertezza non è una cosa buona per l’Europa”.

Intanto il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis ha ricordato che “nell’attuale programma di aiuti ci sono ancora dei fondi, ma se la Grecia li vuole, deve concludere il programma e le valutazioni periodiche perché è quella la condizione”.

“L’Eurogruppo, con chiarezza, ha comunicato alla Grecia che si deve estendere il programma con le condizionalità connesse, solo dopo c’è la flessibilità per discuterle. E’ chiaro che la Grecia avrà bisogno di ulteriore assistenza finanziaria perché un ritorno al mercato sarebbe complicato. Vediamo volatilità sul mercato e varie tendenze preoccupanti”.

Intanto il ministro dello Stato Alekos Flamboraris, un consulente del premier Alexis Tsipras, ha detto che la Grecia potrebbe chiedere un summit Ue di emergenza perché la crisi greca è politica almeno quanto economica.

Parlando alla trasmissione radio locale Parapolitika, il ministro ha detto che nel caso in cui un Eurogruppo straordinario non sia convocato entro la fine della settimana, Atene chiederà ai leader dell’Unione Europea che si tenga un vertice di emergenza perché la “questione è politica”.

Atene non chiede un’estensione del memorandum di intenti del precedente programma, ha detto, perché “il voto del popolo greco ha abolito di fatto l’intesa”.

Gli economisti della banca tedesca Berenberg ritengono che ci sia ancora un 35% di chance che Atene lasci l’area della moneta unica. Per Commerzbank c’è addirittura una possibilità su due.

Il rischio di default o Grexit potrebbe diventare realtà in due modi, secondo Berenberg: la coalizione al governo respinge l’offerta dell’Eurozona e inizia a stampare moneta in proprio; oppure il premier Tsipras indice un referendum per l’uscita dal blocco a 19. L’ultimo scenario è il meno probabile, dal momento che attualmente l’80% dei greci è a favore dell’adozione dell’euro.

Per l’Eurozona le conseguenza a lungo termine sarebbero contrastanti. Da una parte l’abbandono della moneta da parte di Atene creerebbe un pericoloso precedente e i tassi dell’area periferica dell’area euro ne risentirebbero. Dall’altra parte, tuttavia, mostrebbe che le regole imposte dalle autorità europee vanno rispettate.

Aumenterebbe inoltre, sempre secondo gli analisti, gli incentivi ad adottare politiche macro economiche positive, volte a salvaguardare l’appartenenza all’area euro e sgonfierebbe le pretese e la popolarità dei movimenti populisti.

(Lna-DaC)