Economia

Banche centrali: allarme rosso sul fronte inflazione

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L’inflazione resta al centro delle preoccupazioni dei banchieri centrali. Mentre gli ultimi dati in arrivo dagli Stati Uniti, hanno confermato prezzi in aumento al 7% a dicembre, anche dal Vecchio Continente i segnali sono tutt’altro che incoraggianti. A riaccendere i riflettori sul caro prezzo è l’ultimo bollettino economico della Bce, diffuso oggi, in cui si sottolinea che l’inflazione “rimarrà oltre il 2% per la maggior parte del 2022”.

Gli ultimi dati, quelli di novembre, indicano un rialzo del 4,9%. “La causa è principalmente da ricercarsi nel forte rincaro di carburante, gas ed elettricità” dicono da Francoforte.

Alla componente energetica è riconducibile oltre la metà dell’inflazione complessiva registrata a novembre. La domanda, inoltre, continua a eccedere l’offerta che, in alcuni settori, è limitata. Le conseguenze sono particolarmente evidenti nei prezzi dei beni durevoli e di quei servizi al consumo che hanno beneficiato delle recenti riaperture.

Gli effetti base legati al venir meno della riduzione dell’Iva in Germania continuano a contribuire alla più elevata inflazione, ma soltanto sino alla fine del 2021.

“Vi è  incertezza circa il tempo necessario alla risoluzione di tali aspetti – si legge nel bollettino – Nel corso del 2022, tuttavia, i prezzi dell’energia dovrebbero stabilizzarsi, l’andamento dei consumi normalizzarsi e le pressioni sui prezzi derivanti dalle strozzature dal lato dell’offerta a livello mondiale attenuarsi”.

Alert FED: “l’inflazione è troppo alta”

Dagli Stati Uniti intanto i dati di dicembre hanno mostrato che i prezzi al consumo sono saliti su base annua del 7%, in linea con le attese degli analisti e ai massimi dagli anni ’80. L’ultima volta che l’inflazione aveva toccato il 7% era il 1982. L’indice core dei prezzi, al netto di cibo ed energia e quello monitorato dalla Fed, è salito in dicembre dello 0,6%, accelerando rispetto al +0,5% di novembre. Su base annua l’indice core ha segnato un aumento del 5,5%, ai massimi da 31 anni.

Questo trend mette in allerta la FED. Per il vicepresidente nominato della Fed, Lael Brainard, “l’inflazione è troppo alta. La nostra politica monetaria è orientata sulla riduzione dell’inflazione al 2% pur mantenendo una ripresa che includa tutto il mondo. Questo è il nostro compito più difficile”, si legge nelle anticipazioni del suo intervento domani in una audizione al Senato. “Oggi l’economia sta facendo progressi positivi, ma la pandemia continua a porre sfide. La nostra priorità è proteggere quello che ci siamo guadagnati e supportare una piena ripresa”.

Secondo gli analisti di MPS, il dato Usa confermerebbe le attese di un primo rialzo dei tassi Fed già a marzo come sostenuto da diversi membri Fed. Primo fra tutti Bullard, tra i membri più interventisti del board, che ha rincarato la dose affermando che per quest’anno potrebbero essere necessari ben 4 rialzi, mentre la Brainard, nel discorso preparato per la sua audizione di oggi davanti alla commissione bancaria del Senato, ha affermato che il compito principale per la Fed è di riportare l’inflazione al 2%. Infine Daly (non votante) e Harker (non votante) si sono uniti al coro di coloro che sono a favore di tre rialzi (o più se necessario).