I big della Silicon Valley finiscono nel mirino della autorità Usa, che si preparano ad avviare una raffica di indagini contro Google, Amazon, Apple e Facebook.
Secondo indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal nel fine settimana, e confermate ieri, la Federal Trade Commission si appresta a indagare sulle pratiche per la concorrenza del gruppo fondato da Mark Zuckerberg mentre il Dipartimento di Giustizia ha messo nel mirino le pratiche di Google relative alla ricerca sul web e ad altre attività commerciali.
Anche Amazon potrebbe finire sotto la lente. La possibile indagine sul colosso di Jeff Bezos riguarda i possibili ostacoli alla nuova concorrenza alla luce della sua forza e dell’ingresso in nuovi settori, dalla moda agli alimentari.
L’ondata di indagini allo studio mostra il crescente interesse della politica a regolare quello da molti definito il ‘far west’ del web. Sia nel partito democratico sia in quello repubblicano si rafforza infatti il coro di coloro che chiedono maggiori regole e controlli per i giganti di internet.
FAANG, ripercussioni pesanti in Borsa
Pesanti le ripercussioni in Borsa. Ieri a fine seduta, Amazon è arretrato dell’1,6%. Le azioni potenzialmente nel mirino delle mosse delle autorità hanno trainato il mercato al ribasso. Facebook ha ceduto il 7,5%; Google ha bruciato il 6,1 per cento. Amazon è scivolata del 4,6%.
Apple ha perso l’1,01% con le indiscrezioni di una possibile indagine antitrust da parte del Dipartimento di Giustizia. Un rumors piovuto su Cupertino mentre era in corso la conferenza degli sviluppatori, durante la quale Apple ha annunciato varie novità come la ‘separazione’ di iTunes che si dividerà in tre app separate.
Complessivamente, a fine seduta, i FAANG hanno bruciato 130 miliardi di capitalizzazione di mercato. La Casa Bianca – secondo indiscrezioni – non ha preso una posizione sulle indagini ma Donald Trump potrebbe appoggiarle, soprattutto quella contro il nemico Bezos proprietario del Washington Post.
Il Liveblog è terminato
A Wall Street i listini azionari scambiano in progresso, seguendo la scia dei guadagni visti anche in Europa dove l’avvio di giornata era stato meno ispirato. Il Dow Jones guadagna 263 punti in avvio, pari all’1% circa, mentre gli investitori digeriscono le notizie positive sul fronte commerciale. Le prese di posizioni più morbide di Pechino e Città del Messico nei confronti di Washington riportano il sereno nelle sale operative.
A Wall Street i listini azionari scambiano in progresso, seguendo la scia dei guadagni visti anche in Europa dove l’avvio di giornata era stato meno ispirato. Spinto dalla reazione dei titoli tech, il Dow Jones guadagna 263 punti in avvio, pari all’1% circa, mentre gli investitori digeriscono le notizie positive sul fronte commerciale.
Le prese di posizioni più morbide di Pechino e Città del Messico nei confronti di Washington riportano il sereno nelle sale operative. In tutto questo, il presidente della Federal Reserve Jay Powell ha annunciato che farà di tutto per proteggere gli Usa dalla guerra commerciale.
Le principali borse europee chiudono la giornata di scambi in territorio positivo. Lindice EuroStoxx 50 chiude in rialzo di oltre l’1%. In positivo molti titoli del listino tra cui Air Liquide, Bayer, Daimler, Enel, ENI, Iberdrola, Safran e Santander. Tra quelle in negativo i titoli Adidas, Ahold Delhaize, ASML Holding, Danone, EssilorLuxottica, LOréal, Orange, SAP, Unilever, Vivendi, Philips e Orange.
Piazza Affari chiude la seduta odierna in positivo, rispetto al calo di ieri, con il Ftse Mib che segna un rialzo dello 1,79%. In rialzo molti titoli del paniere milanese tra cui Amplifon, CNH, DiaSorin, ENI, Italgas, Pirelli, Ferragamo, Saipem, Snam, Tenaris e Recordati. In controtendenza A2A, Atlantia e Terna.
Sul secondario lo spread tra Btp e Bund decennali si attesta a 274 punti base, con il tasso del decennale che scambia in area 2,53%.
Le parole accomodanti del membro con diritto di voto del board della banca centrale americana, la “colomba” James Bullard della Fed di St. Louis, hanno favorito i titoli rischiosi ma anche un bene rifugio particolare: l’oro. Il metallo prezioso, che molti ritengono costituisca una protezione contro l’inflazione, è anche un modo per mettersi al riparo nel caso in cui la situazione sfugga al controllo della Federal Reserve.
L’ultima spinta arrivata da Bullard e dalle rinnovate tensioni commerciali ha permesso all’oro di salire sui massimi di due mesi e ritentare l’affondo a 1.370 dollari l’oncia. Bullard si è lamentato di prezzi al consumo troppo bassi, invocando la necessità di un taglio dei tassi di interesse. Dal punto di vista tecnico, l’oro ha fatto fatica a uscire dall’area compresa tra 1.350 e 1.370 dollari l’oncia. Guardando al grafico su base settimanale, infatti, si nota come cinque volte su sei i prezzi non siano riusciti nell’impresa.