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Alla ricerca del Santo Graal

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New York – Può essere frustrante ed anche un po’ futile l’esperienza di essere un economista. I mercati finanziari non sempre si comportano come se ci fosse un collegamento tra i fondamentali economici e i prezzi delle azioni, questo è un argomento che ho trattato nella lettera dello scorso ottobre 2012 . Infatti se ritenete validi i risultati di un recente studio di Vanguard , dal quale emerge che un insieme di statistiche forniscono maggior valore rispetto al trend di crescita del PIL o al trend di crescita degli utili in termini di capacità di prevedere i rendimenti del mercato azionario.

Utilizzando i dati del mercato Americano che partono dal 1926, Vanguard ha analizzato la potenzialità di previsione di tutta una serie di parametri. La conclusione piuttosto deprimente alla quale sono arrivati – almeno dal punto di vista di un economista – è che più o meno si arriva ad una gran perdita di tempo assegnando un qualche valore a tutto ciò che avviene nell’economia reale. Di tutti i parametri testati da Vanguard solo i P/E ratio sembrano spiegare in modo ragionevole una certa parte dei futuri (reali) rendimenti del mercato azionario, ma questo solo se si è disposti ad avere una visione molto a lungo termine (10 anni nello studio di Vanguard).

Sto scrivendo la Absolute Return Letter dal mese di ottobre 2003. Almeno il 75% (non ho controllato) di tutte lettere si sono concentrate su vari aspetti macro dell’economia e molte di queste hanno provato a fare delle previsioni sui prezzi azionari, tassi di interesse, prezzi delle materie prime e sulle valute. Ho sprecato il mio e, soprattutto, il vostro tempo in tutti questi anni?

Io non la penso esattamente così, ma la mia risposta ha però bisogno di qualche chiarimento. Qui in Absolute Return Partners quando strutturiamo i portafogli per i nostri clienti noi distinguiamo tra tre diversi orizzonti temporali – il breve termine (i prossimi mesi), il medio termine (da pochi mesi a pochi anni) e il lungo termine (molti anni). La maggior parte dei fondi comuni di investimento, fondi pensione e compagnie di assicurazione allocano la maggior parte del loro capitale a medio termine, il che rende questo spazio molto affollato e in assoluto lo spazio più affollato e di solito in quello più efficiente è più difficile generare alpha.

Il breve termine è spesso governato dagli investitori più aggressivi. Gli hedge fund dominano questo spazio e spesso a scapito degli investitori privati. Il lungo termine è il meno affollato, ed è in realtà assolutamente quello meno affollato anche nel contesto attuale. Come ho più volte sottolineato nel corso degli ultimi due anni, una delle conseguenze più evidenti della crisi finanziaria è il desiderio di detenere liquidità. Questo ha spinto in assoluto, e mai più di ora, la maggior parte del capitale verso il breve e il medio termine, creando nel contesto delle opportunità molto interessanti per gli investitori che possono mantenere una visione di più lungo termine.

Nonostante i risultati di Vanguard e anche di altri mantengo la mia visione che ho a lungo sostenuto, ossia che è possibile individuare delle tendenze economiche a lungo termine che possono avere un impatto significativo sui prezzi degli asset, tuttavia l’effetto è misurabile solo nel vero lungo termine (2). Ora non si può costruire dei portafogli avendo in mente solo il lungo termine. Se lo facessimo saremmo quasi certamente buttati fuori dal business molto prima che le nostre idee si siano concretizzate.

Quindi in pratica i portafogli dei nostri clienti di solito sono costituiti da una spina dorsale che riflette i temi di investimento strategico di più lungo termine che abbiamo individuato, e poi da una parte core che viene circondata da altri strumenti che vengono inseriti in relazione a come valutiamo le finestre di breve e medio termine in termini di attrattività. Nel resto di questa lettera voglio condividere con voi alcuni dei fattori che stiamo guardando in questo momento nel decidere la composizione dei portafogli sia per il breve che per il medio termine. La lettera è più lunga del solito ma non disperatevi. Sto usando molti più grafici rispetto al solito e questi grafici occupano un sacco di spazio.

Il flusso dei fondi

Cominciamo con uno dei più importanti fattori che nel breve termine guidano le performance – il flusso dei fondi. Dalla fine del 2007 escludendo i fondi dei mercati emergenti, in tutto il mondo quasi $600 miliardi sono stati tolti dai fondi azionari comuni. Nello stesso periodo meno di $200 miliardi di dollari sono stati spostati nei fondi azionari dei mercati emergenti con una perdita netta di circa $400 miliardi di dollari. Allo stesso tempo più di $1.000 miliardi dollari si sono diretti verso i fondi obbligazionari globali.

Ora cerchiamo di fare un analisi ad un livello un più approfondito fornendo una fotografia più precisa dei flussi nel periodo 2011-12 (grafico sotto). Quindi non sorprende che dati gli scarsi rendimenti a partire dall’inizio del 2011 circa $260 miliardi dollari abbiano lasciato i fondi del mercato monetario, gran parte dei quali hanno probabilmente trovato la loro strada nei fondi obbligazionari in quanto gli investitori hanno cercato dei rendimenti più elevati. Sono fluiti dall’inizio del 2011 un totale di $450 miliardi nei fondi obbligazionari a gestione attiva e negli ETF obbligazionari.
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I $450 miliardi dollari di flussi sono stati destinati quasi interamente alle obbligazioni societarie. Nel 2011 in quelle definite investment grade, invece quest’anno il mix nei flussi tra gli investment grade e gli high yield è stato di circa 50/50. Si tratta di una considerevole quantità di denaro che è entrata in una asset class che a volte ha dimostrato di essere molto meno liquida di quanto gli investitori vorrebbero che fosse.

Però questa è solo una parte della storia. I fondi comuni di investimento sono prevalentemente detenuti dagli investitori privati, quindi cerchiamo di vedere se siamo in grado di avere un’idea di ciò che invece hanno fatto fino ad ora gli investitori istituzionali. Purtroppo non ho accesso alla stessa quantità di dettagli, ma sappiamo per gentile concessione di Barclays Capital che i fondi pensione e le società di assicurazione europee sono stati negli ultimi anni dei venditori netti di titoli azionari e al tempo stesso hanno aumentato la loro esposizione verso le obbligazioni.

A differenza degli investitori privati sono stati però grandi compratori di debito pubblico. Ho il sospetto ma non ne ho la prova che gran parte degli acquisti di titoli di Stato siano arrivati dall’Italia e dalla Spagna, dove si sa che le più importanti istituzioni locali sono state acquirenti del proprio debito governativo. Solo il tempo ci dirà se questa sarà stata la scelta giusta.

Per gentile concessione della Banca d’Inghilterra capita anche di sapere quali sono stati i gestori di fondi istituzionali che hanno modificato le loro esposizioni. Dalla scorsa estate i gestori dei fondi istituzionali hanno posto maggiormente l’accento sulle azioni, mentre la loro esposizione nelle obbligazioni è un po’ diminuita anche se rimangono comunque sempre sovrappesati.

Questi sono una grande quantità di dati su ciò che è già accaduto. Ma che cosa mi possono trasmettere questi dati in termine di ciò che potrebbe accadere in futuro? Più che altro si conferma quello che già sapevo – che vi è un forte interesse da parte sia degli investitori privati che istituzionali per tutto ciò che offre un rendimento decente. Tuttavia ci sono già i primi segnali che gli investitori istituzionali hanno iniziato a perdere un po’ di interesse per le obbligazioni e hanno incominciato a mettere i soldi nelle azioni. Viceversa fino ad ora non sembra che gli investitori privati siano nuovamente risaliti sul treno. Se la storia si ripete lo faranno sicuramente. Alla fine!

Si dice anche che il principe Carlo (che è stato CEO di Citigroup) avesse ovviamente ragione quando nel 2007 diceva che “fino a quando si sente la musica, ci si può sempre alzare e iniziare a ballare.” Non ho idea di quando si fermerà la musica nei mercati obbligazionari ma ad un certo punto succederà. E’ sempre successo e così sarà anche questa volta. Quando succederà la corsa verso l’uscita diventerà una fuga precipitosa e a quel punto gli investitori in obbligazioni high yield si renderanno conto che si trovavano in un area molto più affollata di quanto non avessero mai immaginato.

Un altro fattore che seguiamo molto da vicino è la struttura delle scadenze del debito che è in circolazione. Essere costretti a rifinanziare il proprio debito nel bel mezzo di una crisi finanziaria non è necessariamente la posizione più invidiabile se si è anche attore, il Regno Unito ha per ora evitato gran parte della turbolenza con la quale hanno avuto a che fare in Europa i paesi periferici e questo è stato dovuto in parte, ma non solo, al fatto che la struttura del suo debito è molto più lunga rispetto all’altra parte del mondo sviluppato.

Nel mercato del debito societario gli emittenti hanno approfittato delle condizioni molto favorevoli di rifinanziamento del 2011-12. Inoltre nel mercato degli high yield non è solo stato rifinanziato il debito esistente, ma è anche stato emesso una considerevole quantità di nuovo debito per la maggior parte con scadenza 2018-20.

Nel mercato dei prestiti a leva la maggior parte del debito è stato rifinanziato fino al 2016-19, ma però non è stato emesso molto nuovo debito. Che cosa significa e cosa ci dice tutto questo? Che a parità di altre condizioni se (e quando) ci sarà un incidente in quello che ritengo essere un mercato degli high yield fortemente sopravvalutato, questo non sarà però generato da un frenetico programma di rifinanziamento.

In realtà io sono molto più preoccupato per il crescente utilizzo della leva finanziaria. A seguito del crollo del 2008-09 nel mercato degli high yield e nel settore dei prestiti a leva, le strutture che fornivano leva sono scomparse quasi da un giorno all’altro. Non era assolutamente raro fino a quel momento un uso della leva finanziaria pari a 5-6 volte e questo ha reso la situazione particolarmente difficile quando tutti hanno voluto venirne fuori nello stesso momento. Non ho ancora dei dati per dimostrarlo ma i contatti che ho qui nel mercato di Londra mi dicono che almeno due banche mondiali hanno incominciato nuovamente a fornire leva ad un livello significativo.

Attività dei Fondi Hedge

Ora cerchiamo di cambiare marcia e guardare agli hedge fund e alle loro attività. I fondi hedge vengono utilizzati in quanto sono piccoli e si muovono con agilità, ma rappresentano una parte microscopica degli asset che sono in gestione e una quota non molto grande dei volumi che sono trattati durante le negoziazioni. Questo ha effettivamente permesso loro di muoversi con molta rapidità generando durante questo processo una rispettabile quantità di alfa.

Niente di più. Tutto quello che dovete fare è leggere i report sulla ricerca di grandi società di Wall Street come Morgan Stanley e Goldman Sachs. Considerando che la loro ricerca veniva scritta per poi essere utilizzata dai gestori di fondi comuni di investimento e dai responsabili degli investimenti dei fondi pensione e delle compagnie di assicurazione, ora invece è ormai più che evidente che il loro target di riferimento è la comunità degli hedge fund. Ovviamente nulla di tutto questo sarebbe così importante se i fondi hedge producessero dei buoni rendimenti ma purtroppo non è così.

Forse tutto questo necessita di un qualche chiarimento. Molti degli hedge fund effettivamente producono quello che dichiarano di raggiungere, ma i fondi equity long/short – che rappresentano il maggior numero di strategie nel settore degli hedge fund e che sono oltre il 50% di tutti gli asset in gestione nell’area degli hedge funds – stanno vivendo un momento particolarmente terribile. In un recente studio di Morgan Stanley è emerso che la generazione di alpha (cioè la sovraperformance) nell’area dei fondi equity long/short recentemente è effettivamente diventata negativa (grafico 9) e questo rappresenta un forte grido di dolore rispetto al lontano ‘periodo d’oro’ dei fondi hedge di circa 10-15 anni fa.

Ci sono molte ragioni che hanno causato tutto questo. L’elevata correlazione presente nell’ambiente, il sovraffollamento, un pool di talenti che si rapidamente diradato e delle elevate commissioni hanno fatto si che la fortuna di girasse, ovviamente tutto questo ha causato una sorta di crisi per l’industria nel suo complesso con il risultato di avere un patrimonio in gestione in diminuzione.

Quali sono le conseguenze di questi pessimi risultati? Nonostante gli scarsi rendimenti che sono stati recentemente generati è probabile che questo settore possa continuare a crescere per molti anni a venire. Dopo tutto solo il 2,5% di tutte le asset class in gestione in tutto il mondo (circa $80 trilioni di dollari) viene gestita da gestori di fondi hedge per cui vi è una particolare abbondanza di spazio per questo settore possa continuare a crescere.

Detto questo, le strategie di investimento oggi soffrono dell’attuale fenomeno di forte correlazione tra qualsiasi tipo di asset class rischiosa e questo probabilmente continuerà a generare una contrazione del patrimonio in gestione, viceversa gli investitori più intelligenti destineranno invece parte del portafoglio verso strategie più esoteriche nel settore degli hedge fund dove lo spazio per generare alpha è ancora sostanziale e la concorrenza con i fondi long only è minima.

Offerte primarie e secondarie

Il 2012 è stato un buon anno per i sottoscrittori degli aumenti di capitale. Con il mese di settembre, l’offerta totale generata dagli aumenti di capitale è stata pari a $168 miliardi siamo sulla strada giusta per superare il massimo storico di $214 miliardi dollari che si era raggiunto nel 2009. Il quadro è molto simile anche nel mercato degli high yield che dovrebbe avere la certezza di raggiungere nel 2012 un nuovo record storico.

Che cosa ci dice tutto questo in termini di futuro comportamento del mercato? Al fine di rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di considerare nell’analisi anche il settore del private equity. All’inizio del 2012 questo settore ha raccolto quasi $1 trilione di ‘potenziali investimenti’, cioè disponibili ma non ancora investiti in capitali. Ho il sospetto ma per ora non ho nessuna prova, che i gestori di private equity arriveranno al 2013 con almeno $800 miliardi di dollari di potenziali investimenti non ancora effettuati.

Quando si combinano questi dati con la consapevolezza che gran parte degli investimenti di capitale disponibili si riferiscono a fondi di private equity che hanno iniziato la loro attività diversi anni fa, siamo convinti che i gestori di questi fondi si troveranno quanto prima di fronte ad un dilemma particolarmente interessante. Decideranno di rinunciare al capitale per il quale gli investitori hanno preso un impegno sapendo che a quel punto le loro fee si ridurranno di conseguenza, o dovrebbero a quel punto farsi avanti e fare delle acquisizioni? Ho il sospetto di sapere qual è il risultato più probabile. Ovviamente questo pesa a favore di una maggiore esposizione verso il mercato azionario.

L’importanza dei dividendi

Tra gli investitori vi è una crescente consapevolezza che in realtà i dividendi forniscono nel corso del tempo un contributo significativo al rendimento totale, anche se questi variano molto di anno in anno e anche di decennio in decennio. In condizioni di mercato particolarmente esuberanti (come ad esempio il 1990) i dividendi contano di meno, mentre in contesti con ritorni particolarmente bassi (ad esempio il 1970) i dividendi possono rappresentare una parte importante del rendimento totale. Noto anche con un certo entusiasmo che i dividendi hanno dato un contributo significativo ai rendimenti azionari di tutto il mondo, quindi questo non è solo un fenomeno statunitense.

Ma perché c’è tutto questo entusiasmo per i dividendi? Perché i bilanci societari sono generalmente in ottima forma e quindi forniscono alle tesorerie aziendali molto spazio di manovra. E poiché i pay-out ratio sono vicini a minimi storici. Quando sulle tesorerie aziendali risuonerà il fatto che dopo anni di abbandono i dividendi sono effettivamente ancora una volta ricercati, i pay-out ratio cominceranno a risalire e gli investitori premieranno le imprese che pagheranno un dividendo di tutto rispetto.

Legge di Wriston

Infine una nota sulla legge di Wriston. Il primo riferimento ad essa può essere fatto risalire ad un articolo del 2006 sulla rivista Forbes scritto da Karlgaard Rich; ma io comunque ringrazio Alexander Ineichen di Ineichen Research and Management AG per avermela fatta conoscere. Potete trovare maggiori informazioni sul lavoro di Alexander qui.

Walter Bigelow Wriston (1919-2005) è stato Presidente e CEO di Citibank dal 1967-1984 e nel suo periodo di massimo splendore e forse anche stato il banchiere più influente del mondo. E’ stato anche un attento osservatore dei mercati e del comportamento umano in generale e a questo proposito una volta fece la seguente osservazione in merito ai movimenti dei capitali e da allora questa è conosciuta come la legge di Wriston sul capitale o solo come la legge Wriston :

“Il capitale andrà sempre dove viene considerato il benvenuto e rimane dove viene ben trattato.”

In un contesto di crisi come quello attuale dove i governi sono disposti ad adottare misure sempre più disperate per placare l’elettorato le sagge parole di Walter Wriston non dovrebbero essere ignorate. Questo dovrebbe entrare immediatamente nella mente del Presidente Hollande quando minaccia di nazionalizzare le attività francesi di ArcelorMittal, a meno che egli sia già preparato per garantire dei posti di lavoro ai francesi? Il capitale andrà davvero dove si sentirà di essere il benvenuto – è sicuro – e tutti i paesi inclusa anche la Francia hanno bisogno di attirare qualsiasi centesimo di investimenti esteri durante l’attuale crisi.

Se i multipli sugli utili tedeschi e francesi sono molto simili (e lo sono) e se lo spread tra il Bund a 10 anni e l’OAT è di soli 65 punti base (come lo è attualmente), io so dove andrà il mio capitale ed io non sono probabilmente il solo che sta giungendo alla medesima conclusione.

Conclusione

Ora come facciamo a mettere insieme tutto questo? Vorrei cominciare con quello di cui non ho parlato. La lista di argomenti trattati in questa lettera (senza nessun ordine in particolare) che a mio avviso sono importanti quando si vogliono determinare le prospettive dei prezzi delle asset class nel breve-medio termine. Questo però non significa che l’elenco sia completo. Per cominciare non voglio svelare tutti i miei segreti. In secondo luogo la lettera è già troppo lunga. In terzo luogo alcuni fattori sono così complessi che solo un breve cenno non gli renderebbe giustizia.

Per esempio non ho menzionato il QE e le altre iniziative di politica monetaria, come Operation Twist e OMT. In questi anni la politica monetaria ha avuto un forte impatto sui prezzi degli asset ed è probabile che questa continuerà a svolgere un ruolo importante. È tuttavia un soggetto così complicato che merita una lettera solo per se stessa.

Non ho discusso dell’incertezza politica. E’ un dato di fatto che l’incertezza influisce sulla crescita economica e sui prezzi degli asset. Le imprese investono di meno, i consumatori spendono di meno e la propensione al rischio degli investitori diminuisce quando c’è incertezza sulle regole.

Né ho parlato delle conseguenze non intenzionali. Ad esempio la politica monetaria negli Stati Uniti sempre di più si manifesta come inflazione nei paesi Asiatici – ed in particolare in quei paesi la cui moneta è strettamente legata al valore del dollaro. La scorsa settimana ho saputo che un posto auto a Hong Kong è stato recentemente venduto per la piccola somma di $387.000. A proposito in USD non HKD. I mutui ipotecari per il settore residenziale sono attualmente offerti a circa 2,1-2,2% di interesse annuo, però con l’inflazione al consumo che sta viaggiando ad un valore pari a quasi il doppio di quel livello. Tutto perché Hong Kong ha deciso di fissare i tassi di interesse seguendo la politica degli Stati Uniti in quanto le due valute sono tra loro legate. Sono però abbastanza vecchio da ricordare ancora la bolla immobiliare che è avvenuta in Giappone alla fine degli anni 1980, ma non abbastanza vecchio per aver perso il senso dell’olfatto e riesco a sentire puzza di bruciato anche da molto lontano.

Riassumendo le mie precedenti conclusioni, ora faccio le seguenti osservazioni:

1. I titoli high yield non sono mai stati così costosi se si comparano con i titoli azionari.

2. Gli investitori che sono fortemente interessati ai titoli con reddito devono pertanto prendere in considerazione i titoli azionari con elevati dividendi come alternativa alle obbligazioni corporate, ma allo stesso tempo devono ricordarsi che le società nelle quali investono hanno bisogno di mantenere un bilancio di buona qualità per poter mantenere e forse anche aumentare il dividendo nel tempo.

3. Gli investitori interessati a cavalcare l’onda del buy-out (che è una previsione e non un dato certo) dovrebbero concentrarsi sul valore/qualità del mercato in cui i fondi di private equity avranno maggiori probabilità di essere maggiormente attivi.

4. Se si investe in hedge fund facendo ciò che più della metà di tutti gli investitori speculativi fanno (cioè investire in strategie tipo “vanilla” come i fondi long/short equity) questa scelta potrebbe benissimo portare ad una delusione. Investire negli hedge più esoterici e quindi nelle strategie meno affollate si ha la possibilità di raggiungere dei migliori risultati.

*Questo documento è stato preparato da Niels Jensen, fondatore nel 2002 Absolute Return Partners LLP ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.