Da una decina d’anni ormai le politiche espansive straordinarie delle banche centrali stanno tenendo in piedi i mercati e le economie più in difficoltà in Europa, come quella italiana. Dopo l’ultima grande crisi Mario Draghi è stato costretto a ricorrere alle armi pesanti per uscire dal pantano, ma ora non ha più altra scelta se non quella di staccare la spina al bazooka monetario.
Solo la lentezza della ripresa dell’inflazione sta ritardando l’appuntamento con il tapering, il processo di riduzione del piano di Quantitative Easing. Negli Stati Uniti il cosiddetto “taper tantrum” ha provocato scossoni nel mercato del debito e anche in Borsa. Draghi cercherà di evitare che questo non succeda in un’area, l’Eurozona, dove la ripresa sta prendendo gradualmente slancio ma rimane pur sempre ancora fragile in assenza delle riforme strutturali necessarie richieste a più riprese dalla Bce.
Draghi, che interverrà al simposio dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming, in settimana, dovrà chiarire presto come pensa di procedere e mettere fine progressivamente al piano di acquisto massiccio di bond e come intende normalizzare la politica dei tassi di interesse. Quelli guida sono fermi allo zero, minimo storico, mentre quelli sui depositi sono negativi, pari al -0,4%.
Il debito denominato in euro delle economie in via di Sviluppo è balzato ai massimi record per via dei programmi ultra accomodanti della Bce. La fine di questo supporto non dovrebbe infliggere per forza i danni provocati ai mercati dalla Federal Reserve, ma il precedente fa paura.
L’intenzione della Bce pare quella di ridurre il suo piano di stimolo monetario da 60 miliardi di euro al mese all’inizio del 2018. Se dovesse ripetersi il precedente del 2013 in Usa, per l’economia dell’area euro sarebbero guai seri.
Gli investitori si sono impauriti all’idea che sarebbe presto finita l’era dei finanziamenti ‘facili’, ottenuti a suon di dollari e tassi ultra convenienti, e per questo motivo il rischio è che la Bce possa deragliare la ripresa dell’area euro e anche dei mercati emergenti, che hanno accumulato debiti su debiti denominati in euro.
Un problema simile riguarda da vicino anche l’Italia, il cui Stato e aziende si sono riempite le tasche di titoli del debito approfittando dei valori e termini vantaggiosi offerti dalla Bce. Proprio per questa ragione è probabile che quando si tratta di tapering, per non risvegliare fantasmi del passato, Draghi preferirà procedere con estrema cautela.
L’analista di UBS Manik Narain, sottolinea a Reuters che una riduzione e poi fine del programma di quantitative easing non avrà in Eurozona gli stessi effetti deleteri che ha avuto in Usa. “Il tapering della Bce avrà un impatto” ed è giusto invitare alla prudenza, ma “è assolutamente il male minore“.
Negli ultimi due anni e mezzo i governi, le società e i consumatori delle economie emergenti si sono abituati a finanziamenti molto convenienti in euro e i debiti si sono ingigantiti. Ciononostante, come puntualizza Narain, la somma complessiva rimane modesta se confrontata con i debiti in dollari e per questo motivo gli emergenti non dovrebbero capitolare una volta che verrà a mancare il seppur grosso sostegno della Bce.