di Viktor Nossek Direttore della Ricerca presso WisdomTree Europe.

Brexit: trader, non fidatevi dei sondaggisti

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La “Brexit” di quest’anno e la “Grexit” dell’anno scorso hanno un aspetto in comune: i referendum creano incertezza. E, in linea generale, i mercati odiano l’incertezza.

L’incertezza che circonda la decisione del Regno Unito se uscire o no dall’Unione Europea comincia a innervosire i trader. La volatilità implicita del cambio GBP/USD è schizzata al 29% -percentuale comparabile ai picchi osservati durante la crisi finanziaria del 2008– mentre i rendimenti dei Gilt decennali sono scesi a meno dell’1,1% toccando nuovi minimi storici (Grafico 1): gli investitori stanno quindi iniziando a spostarsi verso posizioni di risk-off.

I mercati azionari in Europa hanno resistito alle considerevoli pressioni ribassiste anche nelle settimane prima del referendum.  E se la “Grexit” dell’anno scorso può essere di qualche indicazione, il sentiment sul rischio in Europa rimane fragile.

Come illustra il Grafico 2, nelle ultime settimane che hanno preceduto il referendum del 3 luglio 2015 sull’uscita della Grecia dall’UE, il FTSE 100 e l’EURO STOXX hanno riportato vendite massicce, scendendo di circa il 6% nei trenta giorni lavorativi prima del voto popolare. I mercati azionari europei hanno perso un altro 2% dopo il rifiuto del pacchetto di salvataggio della Troika.

Grafico 1 sulla Brexit

Se mettiamo a confronto lo stesso periodo con il possibile risultato elettorale del 23 giugno di quest’anno riguardo alla“Brexit”, si noterà come i mercati in Europa siano rimasti positivi fino alla scorsa settimana, quando il sentiment si è inasprito bruscamente (vedi grafico più sotto).

Rispetto all’aumento della volatilità provocato l’anno scorso dal crollo del greggio e dai timori sul rallentamento della Cina che penalizzarono duramente le Borse europee ed estere, i mercati si trovano in una situazione differente.

Grafico 2 sulla Brexit

Scommettitori piĂą affidabili dei sondaggisti

I mercati devono giudicare le ripercussioni di uno scenario “Brexit” sui titoli azionari europei ampiamente esagerato oppure semplicemente non prezzato abbastanza. Gli investitori potrebbero guardare in cerca d’indicazioni più alle quote dei bookmaker che ai sondaggi d’opinione, anche considerando che alle elezioni politiche tenutesi l’anno scorso in Regno Unito molti sondaggisti non erano riusciti a prevedere con sufficiente precisione il successo elettorale dei Conservatori.

Mentre i sondaggi mostrano per entrambi gli schieramenti del “Remain” (restare nell’UE) e del “Leave” (lasciare l’UE) uno stacco molto ridotto, in cui la banda d’oscillazione rientra più che altro nel margine d’errore, le quote dei bookmaker evidenziano ormai da qualche tempo che una decisa maggioranza di scommettitori punta sulla vittoria del fronte favorevole a rimanere nell’Unione Europea.

Ad esempio, mentre per il YouGov/Times il referendum vede attestarsi al 43% la percentuale del “Remain”, al 42% quella “Leave” e all’11% gli indecisi del “Non so”, le società che gestiscono le scommesse prevedono al 57% la percentuale del “Remain” e al 43% quella del “Leave”, con le migliori probabilità di vincita per coloro che puntano sul “Remain” che offrono un rendimento del 34% sulla scommessa mentre le migliori probabilità di vincita per chi punta sul “Leave” danno un rendimento del 250%.

Alcune incertezze non si riflettono sull’azionario

Anche se la minaccia incombente del default greco e il rischio sistemico inerente al sistema bancario europeo nell’eventualità di un’uscita della Grecia dall’Euro non possono essere direttamente paragonati ai rischi posti da una “Brexit”, è probabile che le incertezze politiche ed economiche siano ancora tali da indurre gli investitori a considerare di coprire le posizioni sugli asset europei. In sintesi, i rischi di breve-medio periodo per i mercati finanziari sono i seguenti:

  1.  Il fronte favorevole all’uscita dall’UE deve ancora chiarire di quale modello commerciale intende avvalersi e, a giudicare dalla retorica sui controlli alle frontiere e sull’eliminazione dei contributi all’UE, difficilmente sarà quello di uno dei Paesi europei non appartenenti all’Unione: la Svizzera e la Norvegia contribuiscono infatti al budget UE e consentono la libera circolazione dei cittadini in cambio di quella dei capitali e delle merci. La storia insegna che ci vorranno diversi anni per rinegoziare gli accordi commerciali, le cui condizioni saranno dettate dai membri dell’UE e non dal Regno Unito. Fino ad allora, gli investitori semplicemente non conosceranno i termini per la circolazione dei capitali e delle merci.
  2.  Se non in virtù del buon senso economico sarà per ragioni di autoconservazione che l’UE infliggerà al Regno Unito qualche tipo di ammenda per l’uscita dall’Unione, imponendo dazi, imposte doganali e altre barriere (ad esempio alzando gli standard dei prodotti destinati all’esportazione attraverso requisiti di imballaggio/etichettatura e simili) per evitare che altri Paesi membri ne seguano l’esempio ed impedire così la disgregazione della compagine europea. Considerando che l’economia britannica è estremamente aperta, ciò comporterà di fatto una tassazione significativa per le aziende esportatrici.
  3.  L’incertezza politica è relativamente diffusa anche in Gran Bretagna. La leadership di David Cameron è già stata messa in discussione da circa la metà degli altri parlamentari conservatori, la nomina di un nuovo Primo ministro con un’agenda più a destra potrebbe anche comportare un rimpasto dei membri del Gabinetto, coinvolgendo il Ministro delle finanze di David Cameron (il Cancelliere dello Scacchiere), George Osborne. Quale risultato potrebbero cambiare le politiche fiscali e, di conseguenza, gli obiettivi sul disavanzo di bilancio.
  4.  Anche la Scozia e l’Irlanda sostengono esplicitamente l’Unione Europea e una vittoria della “Brexit” provocherebbe con ogni probabilità un nuovo referendum scozzese sull’indipendenza. La creazione di una frontiera potrebbe inoltre mettere a repentaglio il fragile processo di pace con l’Irlanda del Nord, inasprendo nuovamente le tensioni con l’Irlanda. A rischio c’è la frattura dell’unione politica del Paese.

Il rapido cambio di sentiment nel mercato azionario europeo dell’ultima settimana potrebbe essere il preludio a un posizionamento maggiormente risk-off come quello che si è visto lo scorso anno per il Grexit. Gli investitori dovrebbero essere preparati all’eventualità che l’accumulo di incertezze sulla sterlina possa diffondersi provocando un aumento della volatilità sulle Borse europee. La copertura delle strategie lunghe sul dollaro e delle esposizioni lunghe sull’azionario europeo potrebbe riguadagnare appetibilità.