Trump mette in pausa i dazi reciproci, ma alla Cina non offre sconti. Le ragioni del dietrofront

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Donald Trump fa un passo indietro nella sua guerra commerciale contro i principali partner commerciali. Dopo aver imposto dazi reciproci elevati a numerosi partner commerciali, ieri 9 aprile, il presidente Usa ha annunciato, a sorpresa, una pausa di 90 giorni (con effetto immediato) nell’applicazione delle tariffe per la maggior parte dei Paesi coinvolti, mantenendo però una tariffa universale del 10%. Punita invece per aver reagito la Cina, contro cui scattano dazi sino al 125% dopo che il il gigante asiatico aveva annunciato, a sua volta, tariffe dell’84% sul made in Usa.
Secondo l’amministrazione Trump, la Cina non si è dimostrata disposta a negoziare in modo equo e continua a utilizzare pratiche commerciali che penalizzano gli interessi statunitensi.
“A causa della mancanza di rispetto che la Cina ha mostrato ai mercati mondiali, ho deciso di alzare i dazi statunitensi sulla Cina al 125%, con effetto immediato” ha scritto il presidente statunitense, Donald Trump, su Truth Social. “Prima o poi, speriamo in un prossimo futuro, la Cina si renderà conto che i giorni in cui derubare gli Stati Uniti, e altri Paesi, non sono più sostenibili o accettabili”.
Le motivazioni della marcia indietro
In un post sulla sua piattaforma Truth Social, il presidente ha dichiarato che la pausa di tre mesi per i dazi reciproci è stata autorizzata per favorire un clima di dialogo e per incoraggiare i partner commerciali a collaborare con gli Stati Uniti.
Tuttavia, secondo alcuni analisti, lo stop di 90 giorni è arrivato dopo il pressing divenuto insostenibile per la Casa Bianca. Numerosi dei grandi sostenitori del presidente Usa, tra cui esponenti di rilievo di Wall Street, avevano chiesto a gran voce una pausa di riflessione nell’escalation della guerra commerciale, invitando l’inquilino della Casa Bianca a spingere sulle negoziazioni.
C’è poi un’altra questione non irrilevante. Se il tracollo delle Borse era stato in qualche modo gestito, le vendite sui Treasury hanno fatto salire la paura mettendo a rischio lo status di ‘bene rifugio’ per eccellenza dei titoli di debito americani e del dollaro. I riflettori sono stati puntati soprattutto sulla Cina, il secondo paese straniero al mondo con più Treasury in portafoglio dopo il Giappone. La paura che si è diffusa è che Pechino possa decidere di cederli sul mercato in ritorsione ai dazi di Trump.
Come ha spiegato bene in una nota Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, i timori principali degli investitori sono sull’andamento dei rendimenti del Treasury a 10 anni e del dollaro USA.
“Il rendimento del Treasury a 10 anni è considerato notevolmente da Scott Bessent, il Segretario al Dipartimento del Tesoro, che lo giudica come cartina di tornasole sull’efficacia delle politiche economiche dell’amministrazione Trump. Nelle ultime ore il rendimento del decennale è salito notevolmente fino al 4,50%, confermando un sell-off dei titoli di stato statunitensi”.
Altra grande preoccupazione – continua l’esperto – è il dollaro che evidenzia dei movimenti come se fosse una valuta di un paese emergente (con variazioni superiori al punto percentuale). La caduta dell’ex re dollaro è legata a tante ragioni. A partire dall’aumento delle probabilità di una recessione negli Stati Uniti, che dovrebbe obbligare la Federal Reserve a tagliare tante volte i tassi di interesse. Ma anche per la perdita di fiducia degli investitori sulle capacità dell’amministrazione Trump di portare avanti politiche economiche efficienti. C’è poi la riduzione della considerazione del biglietto verde come valuta rifugio nelle situazioni di turbolenze finanziarie. E, infine, la volontà di alcuni paesi di portare avanti un processo di de-dollarizzazione.
Effetti sui mercati e reazioni politiche
L’annuncio della pausa tariffaria ha avuto effetti immediati sui mercati finanziari con Wall Street che ha registrato un forte rimbalzo, dopo giorni di volatilità causata dalle politiche tariffarie precedenti: alla chiusura dei mercati, ieri, il Dow Jones ha guadagnato 2.962,86 punti (+7,87%), lo S&P 500 è salito di 474,02 punti (+9,51%), registrando il maggior guadagno percentuale dal 2008 e il terzo in assoluto dalla Seconda guerra mondiale. Il Nasdaq Composite ha aggiunto 1.857,06 punti (+12,16%), la miglior seduta dal gennaio 2001 e la seconda migliore in assoluto.
Nel Daily Comment di oggi, Mark Haefele, Chief Investment Officer di UBS Global Wealth Management, segnala che la volatilità dei mercati, tuttavia, rimarrà probabilmente elevata nelle prossime settimane, mentre gli investitori continuano ad analizzare l’evoluzione della situazione relativa ai dazi e valutano le potenziali implicazioni per la crescita, l’inflazione, la politica della banca centrale e i mercati finanziari.
Lo scenario di base – con una probabilità stimata del 50% – prevede un aumento dei prezzi nel breve termine, seguito da un graduale ridimensionamento, in risposta all’intensificarsi delle sfide politiche, commerciali e legali, alla possibilità di concessioni da parte dei partner commerciali e/o a un possibile calo del sostegno popolare nei confronti dell’amministrazione Trump. Inoltre, nonostante gli annunci di ieri, l’escalation delle tensioni tra Stati Uniti e Cina potrebbe comunque avere un impatto significativo sul commercio tra le due maggiori economie mondiali. Attualmente si stima che il tasso effettivo delle tariffe statunitensi sia salito al 27%, rispetto al 9% precedente al 2 aprile. Escludendo gli scambi con la Cina, il tasso effettivo sarebbe pari all’11%. Il rimbalzo dei mercati globali offrirebbe, secondo Haefele, agli investitori un’opportunità per fare il punto della situazione, diversificare i portafogli e prepararsi a quello che si prevede essere un secondo trimestre caratterizzato da elevata volatilità, posizionandosi al tempo stesso per un possibile rialzo nel lungo periodo.
Dubbi sul futuro
La pausa di 90 giorni rappresenta un’opportunità per i partner commerciali degli Stati Uniti di negoziare nuovi accordi e ripristinare un clima di cooperazione. Tuttavia, resta da vedere se questa tregua temporanea porterà a risultati concreti o se si rivelerà solo una strategia momentanea per calmare i mercati e ridurre le tensioni diplomatiche.
Trump ha ribadito che il suo obiettivo finale è proteggere l’economia americana e ridurre il deficit commerciale. “Questa è una modifica temporanea per garantire che le nostre industrie nazionali siano protette,” ha dichiarato il presidente. Ma con la Cina ancora nel mirino e le relazioni globali sempre più tese, il mondo osserva attentamente ogni mossa della Casa Bianca.
Nel frattempo, il rischio recessione resta alto. Secondo quanto dichiarato da Jamie Dimon, il ceo di Jp Morgan Chase nel corso di un’intervista con Fox Business, una recessione rappresenta “l’esito più probabile” della tempesta scatenata sui mercati dalla politica di dazi punitivi della presidenza Trump.
“Penso che probabilmente sia questo l’esito più probabile – ha detto – perché quando vedi un calo di 2000 punti nell’indice Dow Jones Industrial Average, è un meccanismo che si autoalimenta”. “Il crollo dei mercati – ha spiegato – ti fa avvertire il fatto che stai perdendo soldi del tuo piano pensionistico e la risposta è che devi tagliare le spese”.