E ora i miliardari Usa voltano le spalle a Trump: la politica dei dazi divide i suoi sostenitori più ricchi

Fonte: Getty
Negli ultimi giorni, un numero crescente di miliardari, molti dei quali avevano sostenuto Donald Trump durante la sua campagna presidenziale, ha voltato le spalle all’inquilino della Casa Bianca. La colpa è della sua controversa politica dei dazi, che mira, nelle intenzioni, a penalizzare le nazioni con squilibri commerciali significativi rispetto agli Stati Uniti, ma che allo stesso sta generando un terremoto nei mercati finanziari globali.
Le critiche dei miliardari
Tra i critici più vocali c’è Bill Ackman, CEO di Pershing Square Capital Management, tra i principali gestori di hedge fund negli Stati Uniti, che ha definito la politica dei dazi “un errore strategico colossale”. Ackman ha avvertito che queste misure potrebbero portare a una “inverno nucleare economico”, paralizzando gli investimenti aziendali e spingendo i consumatori a ridurre drasticamente la spesa. In un post su X (ex Twitter), Ackman ha dichiarato: “Stiamo distruggendo la fiducia globale negli Stati Uniti come partner commerciale e luogo sicuro per investire capitale”.
Parole che non sono piaciute alla Casa Bianca. “L’idea che ci sarà un inverno nucleare” economico è “retorica completamente irresponsabile”, ha detto Kevin Hassett, massimo consigliere economico di Trump, in un’intervista a Fox. Trump sta “insistendo su qualcosa che sa che funziona”.
Anche Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase e uno dei principali sostenitori di Trump, ha avvertito che i dazi potrebbero aumentare l’inflazione e danneggiare le relazioni economiche a lungo termine degli Stati Uniti. Nel suo rapporto annuale agli azionisti, Dimon ha scritto: “America First va bene, purché non diventi America sola”.
Elon Musk, CEO di Tesla e consigliere senior della Casa Bianca sotto Trump, ha criticato apertamente il principale architetto della strategia sui dazi, Peter Navarro. Musk ha persino fatto appelli diretti a Trump per invertire la rotta, definendo i dazi “una tassa permanente sui consumatori americani”.
Nella lista dei critici delle politiche di Trump, spicca anche Ken Griffin, fondatore di Citadel e importante donatore repubblicano, ha definito i dazi “un errore politico significativo”. Griffin teme che gli Stati Uniti possano perdere il loro ruolo dominante nel promuovere il libero commercio globale.
Le paure
Le critiche non si limitano agli effetti immediati sui mercati. Premesso che i sostenitori di Trump erano a conoscenza dei piani commerciali del presidente Usa, quello che ha stupito è stata l’entità delle misure, ben più pesanti delle stime. Lo si deduce chiaramente nelle parole di Stanley Druckenmiller, fondatore della società di investimenti Duquesne Family Office, che ha dichiarato in un post su X “non essere favorevole a tariffe superiori al 10%”.
I Paperoni Usa, oltre a veder sfumare nel giuro di poche sedute un fetta importante del loro patrimonio per via del crollo dei mercato, temono che i dazi possano danneggiare irreparabilmente la reputazione degli Stati Uniti come leader economico globale.
Ackman ha sottolineato, questo proposito, che “la fiducia è fondamentale per gli affari” e che Trump sta erodendo questa fiducia tra i leader aziendali in tutto il mondo.
“Imponendo tariffe massicce e sproporzionate sia ai nostri amici che ai nostri nemici e lanciando così una guerra economica globale contro il mondo intero in un colpo solo, stiamo distruggendo la fiducia nel nostro Paese come partner commerciale”, ha scritto Ackman in un post su X. “Le conseguenze per il nostro Paese e per i milioni di cittadini che hanno sostenuto il Presidente – in particolare per i consumatori a basso reddito, già sottoposti a un enorme stress economico – saranno gravemente negative. Non è per questo che abbiamo votato”, ha dichiarato il gestore di hedge fund.
Dal canto suo, la Cina, principale bersaglio delle tariffe americane, ha risposto con fermezza alla politica di Trump. In un editoriale del quotidiano ufficiale cinese People’s Daily si legge: “Più pressione riceviamo, più forti diventiamo”, suggerendo che le misure di Trump potrebbero rafforzare la posizione cinese invece di indebolirla.