Economia

Smart working: resterà la modalità di lavoro prevalente

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

La pandemia di Covid-19 ha avuto un forte impatto su tutti gli aspetti della quotidianità, introducendo profondi cambiamenti nel contesto professionale, organizzativo e sociale che non si limiteranno al breve periodo.

Si pensi per esempio allo smart working.  Se prima della pandemia solo il 31% dei dipendenti poteva usufruire dello smart working, e non su base quotidiana, allo stato attuale, i lavoratori che proseguono completamente l’attività da remoto rappresentano quasi l’80%.

È uno dei risultati emersi dalla ricerca “Lo smart working in Italia, tra gestione dell’emergenza e scenari futuri” condotta da ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager, e Aon, che ha analizzato come è cambiata la vita lavorativa degli italiani nella ricerca.

Lo smartworking in cifre

La ricerca ha coinvolto dipendenti di aziende di tutte le dimensioni, ricevendo forte riscontro da grandi imprese (45%) e micro e piccole imprese (44%) e ha avuto un duplice obiettivo: fornire, da un lato, una panoramica su problematiche/vantaggi riscontrati dalle imprese italiane nell’affrontare la conversione al lavoro agile, tra fine febbraio e inizio marzo; dall’altro, comprendere in che modo questo possa rimanere come strumento nel futuro, e in quale misura modificherà l’organizzazione e la quotidianità lavorativa.

Dal sondaggio Anra, emerge inoltre che le aziende che in precedenza non usufruivano di questa modalità basavano la propria decisione sulle possibili problematiche relative a pianificazione, gestione e controllo delle attività (44%), sulla mancanza di una strumentazione idonea (29%) o sul timore di un calo della produttività (26%).

I lavoratori hanno riscontrato che oltre il 70% delle proprie attività può essere svolto da remoto, anche se rimane una certa difficoltà nella pianificazione e gestione delle attività (che però scende dell’11% rispetto alla percezione pre-Covid), probabilmente perché la repentinità imposta dall’emergenza non ha consentito una migliore organizzazione in tal senso.

“Tra i motivi d’impedimento all’utilizzo dello Smart Working prima dell’emergenza, numerosi sono stati i riferimenti a una ‘mancanza di cultura’ tra i piani alti, un preconcetto legato alla mancanza di fiducia nei propri dipendenti che si trovano a fare lo stesso lavoro, ma da casa, secondo tempi e ritmi diversi. Questa visione si è ‘allentata’ quando lo Smart Working è entrato a far parte della nostra quotidianità, seppure, in maniera forzata: le aziende hanno performato bene, nonostante le difficoltà che tutte le organizzazioni, in misura minore o maggiore, hanno riscontrato.” commenta Alessandro De Felice, Presidente ANRA.

Pro e contro dello Smart Working

La ricerca ha poi indagato vantaggi e svantaggi dello Smart Working. Ai primi posti, in entrambi i casi, si ritrovano elementi correlabili al fattore tempo e al bilanciamento tra vita lavorativa e non. Tra i pro, il 47% evidenzia infatti la possibilità di gestire con più autonomia i propri orari di lavoro e il 43% un migliore equilibrio tra vita privata e professionale.

Tra i contro, pesano invece la mancanza di separazione tra ambiente lavorativo e domestico (48%) e soprattutto la grande difficoltà nel limitare le ore dedicate al lavoro (58%). Polarizzazioni che sembrerebbero contraddirsi ma sono in realtà dovute al fatto che i lavoratori si sono trovati a passare da un estremo all’altro, e dunque le loro percezioni sono risultate estremizzate.

Che la particolarità della situazione abbia influito sulle risposte emerge anche nella rilevazione in merito alla convinzione che lo smart working rimarrà come modalità di lavoro principale anche nel “New Normal”: lo sostiene il 48% di chi ne ha effettivamente usufruito, ma addirittura il 64% di chi non ne ha avuto la possibilità. Una differenza che si spiega considerando che chi ha effettivamente sperimentato il lavoro agile ne ha una visione più lucida, disincantata, avendone sperimentati effettivi vantaggi e svantaggi.