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Russia liquida metà riserve Usa: anticamera opzione nucleare cinese?

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Per ora la Cina ha rinunciato all’opzione nucleare come risposta alle azioni coercitive di Trump alle importazioni di beni e prodotti dalla potenza asiatica, accusata di pratiche commerciali sleali. Ma le ultime mosse della Russia sui mercati finanziari potrebbero essere un antipasto di quello che succederà se Pechino dovesse ricorrere alla forza per controbattere ai dazi di Trump.

Quando si parla del possibile ricorso a opzioni nucleari da parte della Cina, si fa riferimento alla svendita di riserve valutarie (Bond governativi o titoli azionari americani) oppure alla svalutazione della sua moneta nazionale, lo yuan. Se Donald Trump continua a premere sull’acceleratore, tuttavia, è soltanto una questione di tempo prima che questo accada.

La liquidazione inaspettata di metà delle sue riserve obbligazionarie di titoli Usa da parte della Russia, di cui si è venuto a conoscenza venerdì 15 giugno, potrebbe essere servita come una sorta di test preparatorio sui mercati e come copertura della vera misura atomica in cantiere (che verrebbe azionata dalla Cina). In aprile i Treasuries Usa sono stati svenduti a piene mani (vedi grafico sotto), ma non è stata la Cina il paese a svendere con maggiore convinzione, bensì la Russia.

Due mesi fa Vladimir Putin ha deciso di scaricare la quota di titoli di Stato usa più alta di sempre nella storia della Russia. . In un mese solo Mosca si è liberata di circa metà delle sue riserve Usa (fonte: Tesoro Usa) per una cifra pari a $47,4 miliardi (vedi grafico in fondo).

Ora i Bond americani in possesso del Cremlino sono ai minimi da marzo 2008, in piena crisi dei mutui subprime. Con il senno di poi, non è quindi un caso che in aprile sul secondario i rendimenti dei Treasuries Usa decennali siano balzati sopra la soglia del 3%, per un rialzo di 35 punti base.

Escalation: mercati e aziende Usa le vittime sacrificali

Il governo degli Stati Uniti ha annunciato che se la Cina aumenta i suoi dazi ancora una volta, imporrà nuove tariffe punitive massicce su altri beni cinesi per un valore totale di 200 miliardi di dollari. “Si tratta di dazi che entrerebbero in vigore qualora la Cina si rifiuti di cambiare le sue pratiche e anche se insiste con i nuovi dazi annunciati di recente”.

Chi sostiene ancora che non c’è alcuna guerra commerciale in corso, si sbaglia e infatti gli economisti stanno lanciando segnali di allarme, uno dopo l’altro, in particolare per le conseguenze negative che le tensioni potrebbero avere sugli affari delle aziende Usa.

L’escalation è evidente e sotto gli occhi di tutti. Goldman Sachs ha avvertito che “è improbabile che la Casa Bianca riesca a convincere i suoi partner commerciali che le minacce di imposizione di nuovi dazi sono credibili, senza prima convincere i mercati finanziari”.

In poche parole il mercato deve fare un bel capitombolo se l’amministrazione Usa vuole mandare un messaggio di avvertimento credibile. Le tensioni si sono fatte sentire anche sul versante macroeconomico.

Il deficit commerciale Usa si è ampliato più delle previsioni a febbraio, ai massimi di nove anni. In vista dell’entrata in vigore dei dazi di Trump, che hanno agitato lo spettro di una guerra commerciale a tutto campo, la domanda di beni importati ha fatto un bel balzo.