Economia

Quiet Quitting: cos’è e quanto è diffuso in Italia?

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Dalle Grandi Dimissioni al Quiet Quitting, un termine portato alla ribalta nell’estate 2022 da un trend topic da 203.6 milioni di visualizzazioni su TikTok. Il Quiet Quitting è un fenomeno che indica un sempre più diffuso senso di frustrazione correlato al lavoro che induce a ripensare la cultura del sacrificio sul lavoro e a ricercare un migliore equilibrio tra vita privata e impiego. L’ha analizzato il white paper dedicato al tema dei quiet quitter, redatto da Twenix.

Il Quiet Quitting in Italia

Dallo studio emerge che il fenomeno del Quiet Quitting non è una novità, ma sembra essere tornato sotto i riflettori con l’arrivo della pandemia: un evento che ha portato molti a ridefinire le priorità di vita e il proprio rapporto con il lavoro, cercando un migliore equilibrio esistenziale. Il white paper cita l’indagine “State of the global workplace 2022” della società americana di analisi e consulenza Gallup, secondo cui la percentuale media di engagement a livello globale è del 21% e negli Stati Uniti almeno la metà degli americani sembra composta da quiet quitter.

L’Europa è ultima tra i continenti per coinvolgimento sul lavoro, con una percentuale del 14% mentre l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa, con una percentuale di engagement del 4%.

A riprova della caparbietà tipica della gioventù, il white paper rivela che ad essere meno disposti a scendere a compromessi sul lavoro sono in particolare i Millennial e gli esponenti della Generazione Z.

Le imprese in sostanza devono andare incontro a queste esigenze per provare ad arginare l’ondata di malcontento, specie se si considera che il tasso di Quiet Quitting appare maggiore laddove la leadership aziendale si mostra incapace di conciliare gli obiettivi di business con le esigenze del personale, come segnalato da uno studio della “Harvard Business Review”.

La chiave per il successo di aziende e professionisti

La soluzione al Quiet Quitting è il benessere, che passa anche attraverso la formazione, un aspetto fondamentale sia per le aziende, che sentono l’esigenza di una forza lavoro pronta ad adeguarsi a un mercato in continua evoluzione, sia per i dipendenti che – stando a quanto riferito dalll’Employer Brand Research 2022 di Randstad – considerano molto importante ricevere sul luogo di lavoro opportunità di crescita professionale (65% dei casi) e di riqualificazione o miglioramento delle competenze (80% dei casi).

Lo studio infine rivela come in un mercato del lavoro sempre più aperto e globalizzato, la conoscenza dell’inglese si conferma una risorsa cruciale. L’inglese permette di migliorare la competitività e le performance aziendali, come rivela l’ultima edizione dell’EF English Proficiency Index. Al tempo stesso, rappresenta un requisito prezioso per l’accesso al mercato del lavoro e la ricerca di un nuovo impiego, oltre che un incentivo alla crescita professionale. La ricerca «English at Work» di Cambridge Assessment English mostra infatti che una buona competenza nell’inglese favorisce migliori trattamenti stipendiali, promozioni a incarichi di più alto livello e aumenti salariali. Ma, rivela il white paper, affinché possa essere proficuo, un percorso di formazione deve però garantire una spendibilità nella vita professionale di tutti i giorni. Troppo spesso questo non accade: il limite con cui tanti si scontrano è un metodo di insegnamento vecchio stampo, teorico, fatto di lezioni in presenza e ore di studio a casa, che spesso e volentieri non è in grado di assicurare i risultati sperati perché inadeguato alla realtà lavorativa, in cui è richiesto soprattutto un sapere pratico. Beatriz López Arredondo, specializzata nella direzione e gestione delle risorse umane, e oggi head of people in Twenix, società spagnola attiva nel settore EdTech che offre percorsi di formazione in inglese a imprese e professionisti, commenta:

“Il paradigma lavorativo tradizionale è stato totalmente ribaltato. Fino a poco tempo fa, nel mondo del lavoro si valorizzava il concetto dello sforzo, ma soprattutto del sovraccarico: era così ben visto che, nonostante non fosse ricompensato a livello economico e con possibilità di crescita interne all’azienda, veniva totalmente accettato. Oggi tutto questo è cambiato: si dà valore ai risultati, all’impegno, alla proattività e a tanti altri aspetti che hanno a che vedere con il vero impatto che hanno le persone all’interno delle organizzazioni. Il management oggi sta cambiando: dobbiamo capire le preoccupazioni, le motivazioni e gli equilibri dei nostri team, la voglia che hanno di continuare a crescere, il loro stato di maturità e le loro priorità di formazione. Le aziende devono creare spazi, dinamiche, progetti e avanzare proposte per conoscere lo stato psico-fisico-emozionale dei propri lavoratori. Opzioni che includono, naturalmente, percorsi educativi e di formazione: le grandi imprese e multinazionali hanno sempre offerto perks e benefit, ma sempre più aziende piccole, medie o startup si stanno muovendo in questo senso, proponendo possibilità di home office, flessibilità oraria, un piano di wellbeing aziendale”.