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Powell a Jackson Hole, rimane lo spettro degli anni ’70? La lotta all’inflazione è ancora aperta

Si apre un’altra settimana per i mercati azionari che non possono ignorare quanto è avvenuto venerdì al simposio di Jackson Hole. Nel suo discorso Jerome Powell, numero uno della Fed, ha affermato che la banca centrale è pronta ad aumentare ulteriormente i tassi di interesse se necessario e intende mantenere elevato il costo del denaro finché l’inflazione non torni all’obiettivo del 2% nel medio termine.

“Sebbene l’inflazione sia scesa dal suo picco, uno sviluppo positivo, rimane troppo alta”, ha detto Powell alla conferenza annuale della banca centrale americana a Jackson Hole. “Siamo pronti ad aumentare ulteriormente i tassi, se opportuno, e intendiamo mantenere la politica monetaria a un livello restrittivo finché non saremo sicuri che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il nostro obiettivo”.

La reazione dei mercati

Le parole di Powell avevano portato ad una certa volatilità intraday, ma il mercato era arrivato all’appuntamento del Jackson Hole abbastanza “scarico” e quindi l’assenza di indicazioni eccessivamente hawkish da parte del Governatore ha fatto poi scattare gli acquisti. Infatti, venerdì l’S&P 500 ha chiuso a +0,7% e il Nasdaq a +0,9%; questa mattina i listini europei viaggiano in deciso rialzo: +0,7% per l’Euro Stoxx 50, +0,8% per il Ftse Mib e +0,5% per il Dax.

La domanda ora è cosa aspettarci dalla Fed nella prossima riunione del 19-20 settembre. A Jackson Hole, il numero uno della Fed ha colto con favore il rallentamento della corsa dei prezzi dell’economia statunitense, dimostrata dagli ultimi dati macro, grazie alla campagna dei rialzi dei tassi. Allo stesso tempo, Powell ha suggerito che la Fed potrebbe mantenere i tassi invariati nel range tra il 5,25 e il 5,5% nel meeting di settembre, come appunto atteso dagli analisti. Secondo il sito CME FedWatch, la possibilità che la Fed mantenga invariati i tassi è dell’80,5% rispetto a un restante 19,5% di rialzo di 25 punti base. Tuttavia, il livello dei Fed Funds rate rimane sui massimi da 22 anni.

Cosa pensano gli analisti

Scrive in una nota Eric Winograd, Senior Senior Economist di AllianceBernstein:

Il presidente Powell ha scelto di non dire nulla che potesse influenzare il mercato e di non fornire maggiore chiarezza sul percorso da seguire. Dovremmo interpretare questo fatto come se la Fed fosse generalmente soddisfatta dell’assetto: ha la flessibilità necessaria per rispondere alle nuove informazioni come ritiene opportuno, e tornare a un percorso di politica orientato al futuro è sia inutile che potenzialmente controproducente. La massima flessibilità è associata alla minima chiarezza, e questo è ciò che la Fed vuole che abbiamo in questo momento.

Al Simposio di Jackson Hole 2023 gli occhi erano puntati su Powell per avere una conferma dell’imminente cambio di rotta della Fed. Tuttavia, come spiega in una nota Michael Michaelides, Fixed Income Analyst di Carmignac:

Anziché dare il via libera all’inflazione, Powell ha indicato la possibilità di ulteriori rialzi qualora la crescita continuasse ad essere superiore al trend o la recente tendenza disinflazionistica si arrestasse. A nostro avviso, non riteniamo che la Fed effettuerà un rialzo a settembre, ma la prospettiva di un rialzo a novembre rimane aperta. Per gli investitori che attendono impazientemente la notizia dell’eventuale cambio di politica, sembra che ci sia da aspettare più a lungo.

La lotta all’inflazione e la paura degli anni ‘70

“Più a lungo continua l’attuale fase di alta inflazione, maggiore è la possibilità che le aspettative di una maggiore inflazione si radicano” aveva detto Powell a settembre dello scorso anno. È una lezione che il Governatore conosce bene ed è nata dalla dolorosa esperienza del Paese con i prezzi galoppanti negli anni ’70. Il presidente della Fed si è dimostrato più volte determinato a spegnere l’inflazione con tassi di interesse più alti ed evitare il tipo di spirale dei prezzi decennale che ha perseguitato i presidenti da Richard Nixon a Jimmy Carter.

Gli anni ’70 furono segnati da shock petroliferi che portarono alle stelle i prezzi della benzina. In realtà i prezzi iniziarono ad aumentare a metà degli anni ’60, quando il governo federale spendeva molto sia per la guerra del Vietnam che per la Great Society. Nixon congelò temporaneamente i prezzi all’inizio degli anni ’70, ma ciò non fece altro che ritardare il dolore. Quando i suoi controlli furono allentati, i prezzi salirono ancora di più.

Alla fine, è stato necessario un giro di vite da parte del presidente della Fed Paul Volcker per interrompere il ciclo di aumento dei prezzi e dei salari. Volcker ha frenato l’economia alzando i tassi di interesse al 20%: una decisione dura ma necessaria per dimostrare che era seriamente intenzionato a tenere l’inflazione sotto controllo. E infatti ha funzionato: nel 1983 l’inflazione era scesa a poco più del 3%.

È stata una correzione dolorosa. Quasi 4 milioni di persone persero il lavoro a causa delle recessioni consecutive dei primi anni ’80. Ma per i successivi quattro decenni, l’inflazione non è stata un problema serio negli Stati Uniti, fino allo scoppio della pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina.

Qual è l’obiettivo attuale della Fed?

La Fed sta entrando in una nuova fase di politica monetaria sinora completamente concentrata sul raggiungimento del target di inflazione al 2% nel medio termine. Dopo gli aggressivi rialzi dei tassi di interesse nel 2022, la banca centrale americana ha rallentato la stretta nel 2023 e ha segnalato che potrebbe essere vicina a conclusione del ciclo dei rialzi.

Powell ha segnalato che la politica monetaria è passata ad una fase più deliberativa in cui la gestione del rischio ora è “fondamentale”. Ha inoltre evidenziato che l’economia Usa potrebbe non raffreddarsi così velocemente come previsto, ricordando che i recenti dati sulla crescita del Pil e sulla spesa dei consumatori sono stati forti. “Ulteriori prove di una crescita costantemente al di sopra del trend potrebbero mettere a rischio i progressi sull’inflazione e potrebbero giustificare un ulteriore inasprimento della politica monetaria”, ha affermato il Governatore.

Il numero uno della Fed ha anche respinto le voci secondo cui la banca centrale americana potrebbe cambiare il proprio obiettivo di inflazione, un’idea che è stata oggetto di accesi dibattiti soprattutto da parte del mondo accademico negli ultimi mesi. “Il 2% è e rimarrà il nostro obiettivo di inflazione”, ha affermato Powell.