Economia

Pensioni: 50% direbbe sì a taglio per uscire prima

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ROMA (WSI) – Nel caso in cui fossero finalmente lanciate le misure di flessibilità previdenziale in uscita, sarebbero quasi 960.000 gli italiani ad accettare un taglio delle pensioni, pur di poter lasciare in anticipo il proprio lavoro. Precisamente, dei due milioni dei potenziali beneficiari delle misure di flessibilità, ad accettare la riduzione dell’assegno mensile sarebbe il 49%, quasi uno su due.  E’ quanto emerge da un sondaggio che è stato messo a punto da Confesercenti con Swg, da cui risulta anche che l’incentivo a lasciare sarebbe ancora più forte nel caso in cui i pensionati avessero la sicurezza che, in questo modo, sarebbero assunti i giovani in cerca di lavoro.

La disponibilità a lasciare in anticipo la propria occupazione a fronte di un taglio della pensione cala con l’aumentare della riduzione:  solo il 5% accetterebbe una decurtazione del 15% della pensione. Questi i risultati del sondaggio: tra gli intervistati che si sono detti disponibili a lasciare in anticipo in cambio di una pensione più leggera, solo il 2% lo farebbe senza se e senza ma; il 30% solo se la riduzione della pensione non superasse il 5%, mentre il 12% accetterebbe anche una decurtazione fino al 10%: solo il 5% sarebbe disposto a subire un taglio dell’assegno fino al 15%.

Ben il 29%, in ogni caso, ovvero 570.000 persone circa, non sarebbe comunque disposto ad abbandonare. Molti sono gli indecisi, circa il 20% degli intervistati.  Ben recepite le proposte di staffetta generazionale: se sapessero di lasciare il proprio posto di lavoro ad un giovane, il 44% degli intervistati accetterebbe più volentieri la riduzione permanente dell’assegno per andare in pensione prima.

Sulla proposta del governo Renzi relativa all’opzione del lavoro part time in cambio di un assegno previdenziale ridotto, la posizione è piuttosto contrastata. Il 38% si dice interessato, e un altro 38% non lo è. Quasi un pensionando su quattro (il 24%) rimane incerto.

Il problema della flessibilità previdenziale si lega a doppio filo con quello dell’occupazione giovanile. Una relazione che per gli italiani è chiarissima. Bisogna, però, cercare di sacrificare il meno possibile il lavoratore anziano uscente, ha spiegato Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti.

LA PROPOSTA DI CONFESERCENTI

Confesercenti ha messo a punto una proposta di staffetta generazionale che prevede, per i lavoratori anziani vicini alla pensione che scelgono il part-time, di non vedersi ridurre né lo stipendioi contributi, in cambio dell’assunzione nella stessa impresa di un lavoratore giovane.

Bussoni precisa: “Il tutto senza incidere sulla fiscalità generale, ma prevedendo un ampliamento della solidarietà espansiva che è sostenuta esclusivamente con le risorse versate dalle imprese al Fondo integrativo salariale ed ai Fondi di formazione continua. Stimiamo che questo tipo di staffetta generazionale, se applicato alle imprese tra i 6 ed i 60 dipendenti del commercio, del turismo e del terziario potrebbe permettere l’ingresso nel mondo del lavoro ad almeno 100mila giovani”.L’intervento, sarebbe a costo zero per lo Stato, perché lo sosterrebbero le risorse già versate dalle imprese.

TITO BOERI: ESODATI, “RISCHIAMO STRASCICO”.

Non penso che sia stato del tutto risolto perché il tema è stato affrontato in modo tale per cui rischiamo di avere uno strascico. Già ci sono forti pressioni per una ottava salvaguardia.

E’ quanto ha detto Tito Boeri, presidente dell’Inps Tito Boeri, nel corso della trasmissione ‘In mezz’ora’ rispondendo a una domanda sulla settima salvaguardia introdotta con la legge di Stabilità. Peraltro, ha ricordato Boeri, “le misure già varate fin qui sono state molto costose, sono costate già 12 miliardi” e “1 miliardo e mezzo” servirà ora per la settima salvaguardia. Ma “la platea si continua ad allargare” e “la pressione sarà sempre forte fin quando viene garantito un trattamento di vantaggio”.

Per Boeri, una soluzione sarebbe quella di permettere flessibilità in uscita ma “equiparando chi va a 63 e chi va a 67 anni. Per farlo dobbiamo dare una pensione più bassa a chi va in pensione prima”.

E’ necessario inoltre “preoccuparsi dei veri esodati, soprattutto i lavoratori di piccole imprese dove non c’erano accordi, che semplicemente sono stati licenziati e non sono mai stati coperti, che si trovano tra i 55 e i 65 anni e che si sono ridotti in  povertà. Lì bisognerebbe trovare strumenti di sostegno al reddito”.

(Lna)