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Paralisi Brexit: May alle strette, scarica responsabilità sul Parlamento

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Mentre manca poco più di una settimana al 29 marzo, giorno in cui ufficialmente la Gran Bretagna deve dire addio all’Unione europea, Theresa May resta incastrata in una situazione da cui per ora non si vede via d’uscita. Oggi la premier britannica si recherà a Bruxelles per chiedere di ritardare la Brexit al 30 giugno.

Una richiesta che l’UE ha già detto che non potrà avere fino a quando non convincerà il Parlamento britannico a sostenere l’accordo sulla Brexit, già bocciato due volte. Bruxelles ha avvertito se non può persuadere i membri del Parlamento a votare per il suo accordo nei prossimi nove giorni, la scelta sarà un rinvio più prolungato dell’articolo 50 o un’uscita senza un accordo.

Così ieri sera la premier, in un discorso alla nazione, ha ribadito che l’accordo sulla Brexit raggiunto a novembre è “il migliore accordo negoziabile”. Per lo meno se si vuole garantire l’attuazione della volontà popolare manifestata nel referendum del 2016.

Brexit, l’UE sta perdendo la pazienza

May ha spiegato inoltre le ragioni che l’hanno spinta a chiedere “con grande rammarico personale” un rinvio seppur breve dell’uscita dall’Ue e la sua opposizione sia a un referendum bis sia alla partecipazione britannica alle elezioni europee.  L’ipotesi del referendum bis è stata bocciata dal parlamento inglese, che la settimana scorsa ha votato contro una mozione in merito.

Poi l’attacco duro, diretto e quasi provocatorio al Parlamento di Westminster, accusato di non aver voluto attuare la Brexit né “prendere una decisione”, nascondendosi “mozione dietro mozione, emendamento dietro emendamento”.

“Sono sicura – ha proseguito – che voi, l’opinione pubblica, ne abbiate abbastanza. Che siete stanchi di scontri, di giochi politici, di arcane risse procedurali. Che vogliate che il processo della Brexit sia portato a termine. Sono d’accordo con voi e sono al vostro fianco. È tempo che i parlamentari decidano”.