di Mario Lettieri e Paolo Raimondi Ex sottosegretario all'Economia il primo, economista il secondo.

Il rischio dello shadow banking, un fenomeno in crescita

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Pochi crederebbero che nel mondo della finanza le banche non siano più i “number one”. Eppure lo conferma il rapporto “Global Shadow Banking Monitoring Report 2017” del Financial stability board (Fsb), il Consiglio per la stabilità finanziaria. Si ricordi che è l’organismo internazionale con il compito di monitorare il sistema finanziario mondiale per ridurre il rischio sistemico. In passato è stato presieduto anche da Mario Draghi.

Secondo tale rapporto, alla fine del 2016 gli attivi finanziari globali totali ammontavano a 360.000 miliardi di dollari. Cinque volte e mezzo il Pil mondiale. Essi sono così suddivisi: 160.000 miliardi gestiti dagli organismi finanziari non bancari, 138.000 dalle banche, 26.000 dalle banche centrali e il resto da istituti finanziari pubblici.

Gli organismi finanziari non bancari, cioè “gli enti e le attività dell’intermediazione del credito che operano fuori dal sistema bancario regolare”, sono considerati e chiamati dallo Fsb “shadow banking”, sistema bancario ombra. Secondo il Consiglio non sarebbe è una definizione spregiativa.

Sta di fatto che essi manovrano cifre spaventose, se si confrontano con quelle del Pil mondiale. Per evidenziare tutta la fragilità e i rischi del sistema finanziario, è, inoltre, doveroso rilevare che non sono inclusi i noti derivati finanziari otc e altri prodotti speculativi, di cui più volte abbiamo denunciato la pericolosità.

I non bancari comprendono le assicurazioni con 29.000 miliardi di dollari di attivi concentrati negli Usa e in Europa, i fondi pensione con 31.000 miliardi, il 60% dei quali in mano americana, e ben 100.000 miliardi dei cosiddetti “Other Financial Intermediaries” (OFI) che includono vari tipi di fondi d’investimento, hedge fund, holding finanziarie e altri organismi finanziari, spesso “molto fantasiosi” e speculativi.

Circa la creazione del credito, però, le banche mantengono ancora il primato con 69.000 miliardi, pari al 77% del totale, lasciando molto indietro il settore dei citati OFI. Il che significa che questi ultimi sono attratti soprattutto da settori molto distanti da quelli concernenti l’economia reale.

Shadow banking, in Cina crescita straorindaria

Nel frattempo gli OFI hanno registrato un grande aumento in Europa. Ad esempio, rappresentano il 92% di tutti gli attivi finanziari del Lussemburgo, il 76% dell’Irlanda e il 58% dell’Olanda. L’area euro conta detti attivi per 32.000 miliardi di dollari, superando gli Usa, dove, in realtà, stanno diminuendo, e di molto la Cina, dove, al contrario, è in atto una crescita straordinaria.

All’interno degli OFI vi è un settore in continuo aumento che rappresenta ben 45.000 miliardi di attivi considerati molto rischiosi anche dallo Fsb. Si chiama “narrow measure of shadow banking”, un nome senza senso anche in inglese è impossibile da tradurre in italiano in modo comprensibile. Non è la prima volta che prodotti finanziari molto rischiosi vengono chiamati, volutamente, in modo stravagante e fuorviante.

Secondo il Consiglio per la stabilità finanziaria, le operazioni “narrow measure” sono molto più rischiose in quanto utilizzano massicciamente la leva finanziaria, operano cioè con grandi numeri ma pochi capitali propri.

Di conseguenza sono vulnerabili ai rischi di rinnovo delle posizioni e di estensione della scadenza (rollover risk) e a quelli di eventuali massicci ritiri di fondi per timore di insolvenza (run), in particolare quando si rendono dipendenti da finanziamenti di breve periodo.

Sono esattamente le situazioni che si erano create alla vigilia della Grande Crisi del 2008 e che hanno provocato il crollo del sistema.

Paradisi fiscali tra i primi in operazioni shadow banking

Circa le citate operazioni “narrow measure” gli Usa sono ancora i primi con il 31%, seguiti dall’Europa con il 22% e dalla Cina con il 16%. È molto rilevante il fatto che le Isole Cayman, il “paradiso fiscale” per eccellenza, con 4.700 miliardi di attivi, rappresentano il 10% del totale.

Nei passati 5 anni la quota del settore bancario si è andata riducendo di anno in anno, rimpiazzata da una crescente e sempre più ingombrante presenza dello shadow banking. La tendenza è stata ancor più forte in Europa. Comunque, resta sempre molto elevata l’interconnessione tra tutti i vari settori, bancari e non. Perciò permane il rischio di crisi sistemiche.

Gli studi fatti dal Financial stability board sono encomiabili e di grande aiuto. Però, la velocità e le dimensioni degli attuali processi finanziari sono davvero straordinarie e ci impongono una domanda. Le autorità di controllo sono veramente capaci di governarli oppure tentano di inseguire queste evoluzioni finanziarie che, di fatto, finiscono col dettare i movimenti e le regole di comportamento dei mercati e dei loro principali attori?

È un dubbio inquietante che lascia sconcertati.