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Occupy Wall Street: e’ giunta l’ora di chiarirne la posizione politica

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New York – Figlio della primavera araba e sopratutto di quanto accaduto con gli indignados in Spagna, Occupy Wall Street e’ diventato in poche settimane un movimento di protesta di portata globale. Gli indignati di tutto il mondo sono scesi nelle strade di 950 citta’ sabato scorso. Per alcuni analisti il fenomeno sancisce l’inizio di una “Grande Spaccatura” del sistema.

Ad essere finiti nel mirino del 99% della popolazione, come si autodefiniscono i manifestanti, sono i poteri forti della finanza e le autorita’ politiche, colpevoli di aver ampliato le differenze tra ricchi e poveri del mondo. Ma porre l’accento sulle falle della struttura capitalistica e democratica non basta. E’ giunto il momento di chiarire la posizione politica di Occupy Wall Street. Ne parla Paul Gilding, l’ambientalista australiano autore del libro “The Great Disruption”.

Quando si scatenano prosteste sociali cosi’ spontanee, da un capo all’altro del mondo, dalla Tunisia a Tel Aviv, da Roma a New York, e’ chiaro che sta avvenendo qualcosa di grosso a livello globale e bisogna precisarne gli obiettivi e definirne le cause.

Sono due le teorie piu’ intriganti che circolano. Una sostiene che questo sia l’inizio di una “Grande Spaccatura” del sistema. L’altra invece dice che le proteste si inquadrano tutte in un grande cambiamento socio-politico-economico mondiale in atto. Sta a ognuno scegliere l’interpretazione che si ritiene piu’ appropriata alla situazione in cui ci troviamo.

Quanto all’etimologia dello slogan delle proteste di New York, la teoria e’ una sola e la spiega l’agenzia di digital marketing iCrossing che ha fatto una ricerca per capire dove e quando e’ nato il nome Occupy Wall Street. La prima volta che e’ apparso e’ stato su Twitter e non in America. Le istanze del movimento naturalmente vengono da molto lontano, da problemi e rivendicazioni comuni ad altri movimenti del passato, e si ispirano a quanto accaduto negli ultimi mesi in Spagna, in Israele e in Nordafrica.

Secondo Gidling le manifestazioni sono un segnale chiaro che il sistema capitalistico cosi’ estremo e ossessionato con la crescita sta ormai per raggiungere un limite sia finanziario sia ecologico.

“Guardo al mondo come un sistema integrato e nelle proteste, nella crisi del debito, nell’ineguaglianza, nell’economia, nel clima, non vedo un evento isolato, bensi’ un sistema nel bel mezzo di una fase dolorosa che portera’ alla sua rottura”.

Ecco cosa intende Gidling per “Great Disruption”, frase che da’ il titolo al suo libro. Il concetto di fondo e’ che “il nostro sistema di crescita o di democrazia inefficace, o di sovrautilizzo del pianeta Terra, si sta autodivorando vivo.

Occupy Wall Street e’ come quel ragazzo delle favole che dice quello che tutti sanno benissimo, ma che tutti hanno paura di dire: il re e’ nudo. Il sistema e’ rotto.

Le promesse del capitalismo di mercato mondiale non sono state mantenute. “Se lasciamo che il sistema funzioni da solo, se lasciamo che i ricchi diventino piu’ ricchi, se lasciamo che le multinazionali siano macchine di profitto e se accettiamo che l’inquinamento non costituisca un problema, staremo tutti meglio. I poveri saranno meno poveri, quelli che lavorano sodo avranno una posizione buona nella societa’ e quelli che studiano sodo avranno una posizione ancora migliore e avremo un benessere tale da poter sistemare i problemi ambientali quando questi si verranno a creare”. E’ una sorta di compilation di utopie, un manifesto di promesse non avverate.

Quello che sta avvenendo invece, come sottolinea Gidling, e’ che la gente sta perdendo posti di lavoro, i ricchi diventano sempre piu’ ricchi e sempre piu’ pochi, le multinazionali per natura sono concentrate solo nell’incassare profitti e l’ambiente ne sta pagando le conseguenze.

Il 4 luglio del 2011 il movimento anticapitalista Adbusters, fondato nel 1989 a Vancouver, ha pubblicato su Twitter l’immagine di una bandiera americana con i loghi di alcune multinazionali al posto delle stelle. L’immagine non e’ nuova e il tweet rimandava a un articolo pubblicato ad aprile sulla rivista di Adbusters, che invitava l’America a ribellarsi contro il sistema corrotto delle multinazionali.
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La novita’ stava nel codice per indicare le parola chiave sui social network: #OccupyWallStreet. Il 17 settembre con un tweet si dava il la alle proteste. Cosi’ un mese fa nasceva il movimento che come il bambino nelle favole dice a chiare lettere quello che tutti dentro di noi pensiamo. E lo fa con un megafono, per esprimere tutta la sua rabbia, ma senza violenza.