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Nucleare: il rischio è ancora vivo. La mappa dei paesi in pericolo

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Roma – Dopo il disastro di Chernobyl nel 1986 i timori sull’utilizzo del nucleare sono tornati di recente ai massimi storici. Se pensavamo di essere riusciti a tenere sotto controllo l’utilizzo di questa risorsa, quello che è successo di recente alla centrale nucleare di Fukushima ne è la prova contraria.

Eppure stiamo parlando di uno dei paesi più sviluppati al mondo, fiore all’occhiello in termini di sicurezza e sviluppi tecnologici. E allora non abbiamo ragione di preoccuparci sull’effettiva sicurezza delle altre centrali sparse per il mondo? In paesi che magari hanno un alto tasso di corruzione, dove le infrastrutture sono poco sviluppate e gli standard di sicurezza talvolta contano solo nella carta?

Non si vuole essere allarmisti. Vi vogliamo semplicemente proporre un documento ottenuto da WikiLeaks, divulgato da Reuters, sulle aspirazioni nucleari di diversi paesi emergenti.

Si può iniziare da Hanoi, la capitale del Vietnam, dove in un cable dell’ambasciata americana del 2007, lo stesso vice ministro della scienza e della tecnologia vietnamita, Dinh Tien, solleva dei dubbi sull’inventario e sullo stoccaggio di materiale radioattivo all’interno del paese.

Avviciniamoci un po’, passiamo all’Azerbaijan, dove un cable del 2008 descrive la persona responsabile del programma nucleare del paese come ambiguo, con le mani sempre in pasta negli immobili nell’agenzia delle dogane. “Si mormora che ha fatto la sua fortuna scalando il potere delle dogane ed è ora uno dei maggiori investitori nel boom immobiliare”, riporta l’inviato americano, dopo un meeting diretto con l’interessato.

Nonostante abbia un programma già abbastanza sviluppato, non è confortante la situazione nemmeno in India, che ora mira a costruire altre 58 nuove centrali. Quella visitata dalla delegazione americana nel 2008 viene descritta come con controlli solo moderati, con la mancanza di telecamere di sicurezza in punti chiave e con gli addetti non troppo scrupolosi nei loro compiti.

L’Arabia Saudita ha annunciato di voler costruire 16 reattori nucleari entro la fine del 2020, con un enorme piano di investimenti da almeno 100 miliardi di dollari. L’amministrazione del paese è autoritaria e fortemente personalizzata, condizioni che rendono praticamente impossibile la messa a punto di una autorità indipendente che possa vigilare sul rispetto delle regole e dei requisiti di sicurezza per le centrali atomiche.

I nuovi reattori sono mediamente più sicuri di quelli di vecchi di Fukushima, ma c’è da ricordare che buona parte del disastro alla centrale nucleare giapponese è stata causata dall’improvvisa mancanza di corrente elettrica, che ha reso inutilizzabili i sistemi di emergenza per mantenere sotto controllo la temperatura all’interno dei reattori. I cali di corrente sono molto comuni nei paesi in via di sviluppo e, secondo gli esperti, questo potrebbe essere un serio problema per la sicurezza.

Anche la carenza di infrastrutture importanti come le strade potrebbe essere un problema nel momento di una emergenza nucleare, quando mezzi di soccorso, tecnici ed esperti devono poter raggiungere rapidamente l’area dell’incidente. In Vietnam, per esempio, le strade sono poco attrezzate e con una capacità inferiore rispetto all’attuale mole di traffico. E i trasporti ferroviari non sono molto migliori. Raggiungere rapidamente gli impianti in caso di emergenza sarebbe molto difficile. Così come sarebbe improponibile organizzare la rapida evacuazione delle zone più vicine alle centrali nel caso di perdite radioattive.

Un altro problema di difficile soluzione rimane quello della conservazione in luoghi sicuri, e isolati, delle scorie radioattive. Il dilemma interessa tutti i paesi che utilizzano il nucleare, ma nel caso di quelli in via di sviluppo assume a volte contorni più inquietanti. Sempre nei dispacci diplomatici degli Stati Uniti svelati da Wikileaks sul Vietnam si citano alcune frasi del viceministro Tien, dove ammette la necessità di creare un nuovo sito per i rifiuti nucleari e di «migliorare i controlli legati alle importazioni e alle esportazioni di materiale radioattivo». Viene quindi da chiedersi dove il paese immagazzinerà i propri rifiuti nucleari quando avrà la prima centrale definitivamente operativa. Le autorità dicono di avere un piano fino al 2030 per la loro gestione e una estensione dello stesso fino al 2050.

Naturalmente i vari paesi non hanno commentato o hanno negato la veridicità dei fatti. Ma rimane che queste e altre situazioni giustificano la maggiore attenzione al problema a livello internazionale, perché occorre migliorare non solo le regolamentazioni e le norme vigenti, ma anche i controlli effettivi.

“Se il Giappone non riesce a far fronte efficacemente al disastro – ha detto Andrew Neff, analista senior di IHS Global Insight – allora è legittimo chiedersi cosa possano fare questi paesi molto meno sviluppati.”

Per molti, la regola numero 1 per un programma nucleare sicuro è la presenza di una autorità che abbia almeno la parvenza di essere indipendente dal governo e dalle pressioni delle imprese. I critici temono che i governi autoritari non tollerino una simile istituzione che miri ad avere una parziale indipendenza e trasparenza nei processi decisionali.

Benché anche le autorità in Occidente abbiano affrontato numerose critiche per essere troppo vicine alle imprese che regolano, sono almeno aperte alle revisioni e al controllo dei media e dei governi. La corruzione dilagante in alcuni paesi in via di sviluppo potrebbe portare a tagliare dei passaggi importanti sia nella fase di costruzione che di messa in sicurezza degli impianti.