Economia

MPS: il Tesoro ancora nel capitale, possibile maxi proroga al 2025

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Maxi-proroga all’orizzonte per l’uscita del Mef da Mps. Sfumate le nozze con UniCredit, si starebbe valutando un rinvio dell’uscita dello Stato dal capitale della banca toscana che potrebbe essere ben maggiore dei 12-24 mesi ipotizzati nelle scorse settimane dopo che è sfumato l’operazione UniCredit.

Mps, sul tavolo 2-3 miliardi e maxi proroga

Lo scrive il Sole 24 Ore, secondo cui l’ombrello del Mef su Rocca Salimbeni rimarrà aperto per tempi lunghi. In particolare il Mef, azionista a Siena con il 64,2%, potrebbe rimanere nel capitale di Mps che potrà coincidere anche con i tempi del nuovo piano industriale, al momento fissati al 2025.

“Se è vero che è fuori discussione la volontà, ribadita a più riprese dal ministro dell’Economia Daniele Franco, di riportare Mps in mani private, è vero – scrive il quotidiano di Confindustria – anche che l’esperienza degli ultimi mesi ha mostrato per tabulas la debolezza negoziale prodotta dalla scadenza vincolata per la vendita. Dunque, sul tavolo c’è l’ipotesi di tempi lunghi e in certa misura modulabili che, d’altra parte, potrebbero essere coerenti con l’orizzonte del nuovo piano industriale a cui sta lavorando la banca”.

Nel frattempo, MPS e il Tesoro sono alle prese con la DG Competition Ue per la definizione del nuovo piano industriale. Non solo la scadenza, dunque, ma anche un focus sugli obiettivi costi/ricavi e sul rafforzamento patrimoniale, con una cifra che potrebbe essere rivista la ribasso rispetto ai 2-3 miliardi di cui si vociferava.

First Cisl: Stato resti nella banca il tempo necessario al rilancio

Banca Monte dei Paschi di Siena ha bisogno di tempo per completare il suo rilancio. Tempo e nuovo capitale, che va impiegato per aumentare il credito e quindi i ricavi. Al timone, dopo il fallimento della trattativa tra Unicredit ed il Ministero dell’Economia , è bene che resti lo Stato: non per sempre, perché la privatizzazione dovrà esserci, ma appunto per il tempo necessario a garantire che l’investimento pubblico venga recuperato.

Così il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani che condanna l’operazione con Unicredit che avrebbe comportato lo spezzatino con conseguenze sia per la clientela che per i lavoratori, esposti alla mobilità territoriale e professionale, o al passaggio in Mediocredito Centrale per quanti fossero rimasti fuori dal perimetro.

Insomma Mps – ha sottolineato Colombani – avrebbe perso la sua integrità e l’avrebbe persa proprio nel momento in cui il risanamento è avvenuto, come dimostra l’utile di 388 milioni di euro realizzato nei primi nove mesi dell’anno. Certo, serve in tempi brevi un aumento di capitale, ma del resto anche l’ad Guido Bastianini lo ha detto di recente in audizione alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche”.

Per il rilancio della banca, sottolinea ancora il numero uno del sindacato è necessario l’aumento di capitale.

Siamo in una fase di riprese per la nostra economia, che crescerà del 6% quest’anno e del 5% nel 2022. Queste condizioni consentono a Mps, se ricapitalizzata, di fare più ricavi e guardare al futuro con fiducia. È necessario però che la banca resti pubblica per il tempo necessario affinché lo Stato recuperi il suo investimento. La proroga di un anno di cui si parla è insufficiente. Poi, una volta che il rilancio sarà concluso, Mps potrà essere privatizzata. (…) Dobbiamo essere chiari: diciamo no ai rimedi compensativi e a nuovi sacrifici salariali per le lavoratrici e i lavoratori, che hanno pagato in questi anni un prezzo pesante e ciò nonostante abbiano consentito alla banca di stare sul mercato – ha ribadito Colombani – Il governo ha l’autorevolezza per negoziare con le istituzioni comunitarie tempi e condizioni che consentano alla banca di sviluppare il suo potenziale. Non vanno ripetuti gli errori del passato. Nel 2016 il piano d’impresa tagliò drasticamente i costi ma così facendo affossò anche i ricavi. Un’altra stagione di lacrime e sangue non farebbe che replicare questo copione”.

La sorte del Monte, sottolineano da First Cisl, è collegata anche al tema della desertificazione bancaria.

La ritirata delle banche dai territori è un problema che tocca tutto il Paese, anche se colpisce in modo più duro il Mezzogiorno, e che ha ricadute rilevanti sul tessuto sociale. La Toscana è stata meno colpita rispetto ad altre aree ma, in generale, la chiusura delle filiali determina ovunque emarginazione sociale – ha argomentato Colombani – Il basso livello di competenze digitali, certificato dall’indice Desi elaborato dalla Commissione Ue, è un ostacolo oggettivo. Siamo anche il Paese più anziano, e non a caso la fascia d’età che utilizza meno i servizi bancari digitali è quella tra i 65 e i 74 anni. Tutto ciò concorre a creare una condizione di isolamento per le persone più anziane, che tra l’altro sono quelle che detengono la parte maggiore del risparmio privato. La debancarizzazione è un freno anche per gli investimenti, che in questo momento sono fondamentali per rilanciare l’economia”.