Morgan Stanley ritiene che i segnali di un mercato azionario destinato a diventare più rischioso nel corso dell’anno si inizino già “a vedersi scritti sul muro”: “Siamo assai convinti che questi [segnali] saranno ovvi per le masse entro la fine del terzo o del quarto trimestre, al più tardi”.
L’outlook per il 2018, sottolinea Michael Wilson, Cio di Morgan Stanley Institutional Securities, aveva intravisto alcuni segnali che già si sono concretizzati: “maggiore volatilità tra i tassi, tra i mercati azionari e valutari, condizioni finanziarie più rigide, sottoperformance del credito aggiustato per il rischio rispetto al mercato azionario, contrazione delle valutazioni azionarie negli Stati Uniti e un picco degli indicatori anticipatori economici e sorprese nei dati”.
Eppure, prosegue lo snodo-chiave della nota diffusa domenica, gli aspetti più “infausti” devono ancora palesarsi: “i massimi nei margini operativi, della crescita tendenziale degli utili per azione negli Stati Uniti e forse anche in altre aree”. Sono questi ultimi gli indicatori che potrebbero rendere manifesto il fatto che ci si avvicina, in breve, al termine della fase di slancio dell’economia americana.
Gli ultimi dati macroeconomici, d’altronde restano “la combinazione ideale per i mercati” con un’inflazione bassa a fronte di una elevata occupazione. Il prossimo scossone positivo di Wall Street, ricorda Wilson, potrebbe dunque coincidere con la pubblicazione dei risultati trimestrali del primo trimestre del 2018.
Da mercoledì 21 marzo a oggi, lunedì 26, l’indice S&P 500 ha ceduto circa il 4,5% del valore, sulla spinta dei timori di una possibile scalata protezionistica innescata dai provvedimenti dell’amministrazione Trump su acciaio e alluminio. Il Cio di Morgan Stanley ha ridimensionato in buona parte l’entità di questo problema, a fronte dell’ampia risonanza mediatica:
“Il rischio di una disputa commerciale più ampia (…) resta basso. Notiamo che finora le dimensioni dei dazi annunciati, pari al 25% [su un volume di] 50-60 miliardi di dollari, ammontano a soli 12,5-15 miliardi di dazi effettivi. Ancora più importante, l’Europa è stata esentata in modo molto simile a Canada e Messico (…) Tutto questo suggerisce che questi colpi vengano usati più come tattiche di negoziazione”.
Le contromisure di Pechino attuali colpiscono appena tre miliardi di beni scambiati con gli Usa.