Anche se il mercato sembra scommettere su una soluzione del nodo Brexit che sia relativamente favorevole al Regno Unito e che scongiuri uno scenario di ‘no-deal’, per molti equivalente a un disastro, il panico e l’incertezza generati dalla Brexit sono evidenti se si va a guardare l’andamento del mercato obbligazionario britannico.
Mentre la sterlina non ha dato segni di schizofrenia, a parte un attendibile balzo della volatilità, nelle ultime settimane, che hanno visto anche una bella reazione delle Borse europee – oggi sui massimi da dicembre – il mercato obbligazionario britannico ha dato segnali evidenti di stress. La curva dei rendimenti dei Bond inglesi, i Gilt, è la più piatta in oltre due anni di tempo (vedi grafico).

Nel frattempo i mercati dei prezzi al consumo segnalano un incremento delle aspettative di inflazione. La minaccia di un’uscita senza accordo non è ancora del tutto da escludere anche se dalle ultime indiscrezioni pare che il governo May voglia evitare questo scenario.
Il tasso swap a cinque anni dell’inflazione, che serve a misurare quanto velocemente il mercato si aspetta che i prezzi salgano di livello, ha toccato il 3,7% questo mese, vicino ai massimi di due anni. Questo nonostante l’ultimo report ufficiale mostri un rallentamento della crescita dei prezzi, che quindi stanno tardando a raggiungere la soglia obiettivo della Banca d’Inghilterra del 2%.
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Le Borse europee hanno aperto sui livelli più alti da dicembre.
Tonfo in Borsa per Tim dopo il lancio di un profit warning. Il titolo lascia sul terreno il 9% circa, sprofondando fino a 0,4772 euro, sui minimi dall’estate 2013, dopo che ieri il cda, che ha analizzato i risultati preliminari 2018, ha rivisto al ribasso l’ebitda organico per il mercato domestico. La stima è per una riduzione di “mid single digit” ossia intorno al 5%. A questi valori, la capitalizzazione (ordinaria) del gruppo è di poco sopra i 7 miliardi. Affondando anche le azioni risparmio (-7,8% a 0,417 euro).
Per il 2018 l’ebitda consolidato complessivo organico è atteso intorno ai 8,1 miliardi, l’indebitamento finanziario netto consolidato rettificato a 25,2 miliardi. Si prevede difficile anche il 2019: le prime stime per la Business Unit Domestic ipotizzano un andamento della performance operativa che sconta le dinamiche competitive che hanno impattato l’esercizio 2018 e che si prevede influiscano anche sul 2019, in particolare sul primo semestre. Non un buon punto di partenza per il piano 2019-2021 che l’Ad Luigi Gubitosi dovrà portare al cda del 21 febbraio.
Dal fronte macro sono usciti i dati sulla produzione industriale negli Stati Uniti, che ha registrato un rialzo frazionale su base mensile dello 0,3%, dopo il +0,4% di novembre, rivisto al ribasso da un +0,6% per cento. Gli analisti si aspettavano una crescita leggermente più contenuta (+0,2%).
Lato societario sono state comunicate le trimestrali di alcuni gruppi Usa importanti come TIffany’s e American Express. La prima ha registrato un calo delle vendite dell’1%, a circa 1,04 miliardi di dollari, nel periodo natalizio, ossia nei mesi di novembre e dicembre 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017. Tiffany ha spiegato l’andamento deludente del giro d’affari con acquisti più ridotti da parte dei turisti, principalmente cinesi, e una domanda debole da parte di americani ed europei.
A questo punto la società si attende che nell’anno 2018 i ricavi registreranno una crescita, sia a cambi correnti che costanti, tra il 6 e il 7%, livello lievemente inferiore alle attese degli analisti che scommettevano su un rialzo nell’intorno del 7,8%. La società si aspetta inoltre che gli utili per azione dell’esercizio 2018 termineranno nella parte bassa della forchetta precedentemente indicata tra 4,65 e 4,8 dollari per azione, contro un consensus di $4,77. Per il 2019 il gruppo mette in conto ricavi in crescita a una cifra a tassi costanti (tra lo 0 e il 5%) e utili in rialzo di circa il 5%.
Grazie al taglio delle aliquote aziendali reso possibile dall’amministrazione Trump, American Express è tornata all’utile nel quarto trimestre del 2018 ma nel periodo i ricavi sono cresciuti leggermente meno del previsto. Il 2018 si è chiuso comunque all’insegna dei record con utili più che raddoppiati a 6,9 miliardi. Tra ottobre e dicembre, il gruppo ha messo a segno utili netti per USD 2 mld, o 2,32 dollari ad azione. Gli analisti si aspettavano profitti pari a 1,8 dollari ad azione.
Nello stesso periodo del 2017 il gruppo aveva subito una perdita di 1,2 miliardi di dollari o di 1,42 dollari per azione, dovuta a oneri iniziali legati alla riforma fiscale approvata prima del Natale 2017 in Usa. Negli ultimi tre mesi del 2018, AmEx ha registrato ricavi record di 10,5 miliardi, in crescita dell’8% su base annuale ma di poco sotto i 10,6 miliardi calcolati dal mercato.
il Tesoro Usa potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di cancellare i dazi punitivi contro i prodotti cinesi. Sarebbe questa l’offerta messa sul tavolo dal capo del Dipartimento economico americano Steve Mnuchin dopo che Pechino ha riconosciuto le difficoltà create dalla guerra commerciale, annunciando un piano di riduzione delle tasse per aiutare le sue aziende.
Sui mercati, l’ottimismo sul raggiungimento di un accordo nel 2019 ha spinto in rialzo le asset class più rischiose come i listini azionari e anche le materie prime come acciaio e minerale ferroso. Diverse commodity scambiano così sui massimi plurimensili, con gli investitori che scommettono su un aumento della domanda nel caso di un accordo di pace tra Cina e Stati Uniti.