Economia

L’inflazione preoccupa più della metà delle imprese

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Il 51% delle imprese sono preoccupate dal possibile rallentamento nello sviluppo dell’attività dovuto agli impatti negativi dell’inflazione. Non solo: il 30% ha anche avviato dei piani di controllo dei costi, al fine di preservare i margini. Emerge dallo European Payment Report (EPR) di Intrum, giunto alla sua ventiquattresima edizione. La ricerca è basata su un’indagine condotta simultaneamente in 29 Paesi europei, a cui hanno partecipato oltre 11.000 aziende europee, di cui oltre 800 italiane, rappresentate dal top management e da esperti della materia all’interno dei dipartimenti finanziari. La ricerca parte dalla constatazione che le imprese devono far fronte a nuove criticità, in primis l’aumento dell’inflazione, che combinato ad un periodo di bassa crescita, mix che rischia di dare origine al fenomeno della cosiddetta stagflazione, ossia di stagnazione accompagnata da inflazione.

Niente aumenti di stipendio

Inoltre il rapporto di Intrum rivela che per il 50% degli intervistati italiani (il 55% in Europa) non vi sono le premesse per soddisfare le richieste di aumento dei salari da parte dei dipendenti, che a loro volta devono fronteggiare il calo del potere d’acquisto. Infine il 53% delle imprese (quasi il 60% in Europa) afferma che il citato andamento inflattivo potrà incidere negativamente sulla capacità di pagare in tempo i fornitori e ritiene che le difficoltà a pagarli potranno aumentare nel corso dell’anno.

L’importanza dei pagamenti puntuali per le imprese

Ma per alimentare la crescita di prodotti e servizi, il fattore chiave è la puntualità dei pagamenti per circa il 60% delle imprese intervistate. La ricerca di Intrum inoltre suggerisce che circa il 60% delle imprese italiane (il 53% in Europa) vorrebbe migliorare la gestione dei ritardi nei pagamenti, ma riscontra numerose difficoltà anche a causa della carenza di figure adeguatamente formate e competenti, sia al proprio interno che sul mercato del lavoro.

Anche sistemi finanziari e amministrativi obsoleti impediscono alle imprese italiane (nel 52% dei casi rispetto a 46% in Europa) una gestione agile dei ritardi negli incassi. L’efficacia nella gestione del credito da parte dei principali operatori del mercato è garantita anche da recenti investimenti in tecnologia e in analisi dei big data, che risulterebbero antieconomici per le singole aziende.

Un aspetto interessante che emerge dal report di Intrum è che la puntualità dei pagamenti gioca un ruolo centrale anche in ambito ESG. Il 67% delle imprese italiane ritiene che sia cruciale per costruire e mantenere il necessario rapporto di fiducia con i fornitori e ritiene che le tempistiche di pagamento dovrebbero far parte dei KPIs rendicontati nell’ambito del reporting di sostenibilità. Circa il 70% degli intervistati ritiene che le imprese più grandi abbiano la responsabilità nei confronti della società di garantire pagamenti puntuali ai fornitori più piccoli. Sarà necessaria inoltre una maggiore presa di coscienza da parte di questi operatori, dal momento che oltre il 60% di essi ha ammesso che raramente si pensa all’impatto negativo che un ritardo di pagamento potrebbe avere su un’impresa di piccole dimensioni.

Poi vi è anche un 64% degli intervistati italiani (in linea con la media europea) che ha dichiarato di aver accelerato in modo significativo i propri sforzi per diventare più sostenibile, requisito oggi fondamentale per continuare a presidiare i vari mercati di riferimento: nel 48% dei casi (39% in Europa) i clienti hanno chiesto loro conto delle prestazioni ambientali. Infine il 45% delle imprese, in linea con la media europea, afferma che la continuità del business nel prossimo decennio potrebbe essere a rischio se non si riuscisse a gestire al meglio l’impatto del cambiamento climatico, anche in termini di sfide della transizione verso un’economia verde.

L’impatto del coronavirus sulle imprese

Infine, dalla ricerca emerge che le imprese italiane stanno tuttora affrontando taluni impatti derivanti dalla pandemia e nel 40% dei casi ritengono che servirà almeno ancora un anno per ritornare ai livelli pre-Covid, rispetto al 35% degli intervistati in Europa. Inoltre si prevede che l’Italia subirà un impatto significativo a causa delle sanzioni sul gas russo, che costituisce il 40% delle forniture, quando le risorse rinnovabili generano solo l’11% dell’energia del Paese, rispetto a circa il 20% della media europea.