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Riforma legge fallimentare: cosa c’è da sapere sulla moneta common

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Riforma legge fallimentare: cosa c’è da sapere sulla moneta common

La riforma del sistema fallimentare, che estende la sua portata al concordato preventivo, e che apporta modifiche alla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, ha un altro grande pregio che nei dibattiti e negli approfondimenti dei media è poco presente: l’introduzione di una moneta common. Il nuovo testo si propone il traguardo di mandare in soffitta la vecchia legge fallimentare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha definito la riforma del diritto fallimentare un testo di “portata epocale.

I temi affrontati dalla riforma, approvata dal Senato l’11 ottobre senza variazioni al testo del disegno di legge che la Camera dei deputati aveva consegnato, sono numerosi e vanno dalla liquidazione giudiziale, che sostituisce la procedura di dichiarazione di fallimento, al concordato preventivo e alle altre procedure alternative di soluzione della crisi, alle procedure di allerta attivabili direttamente dal debitore o d’ufficio dal tribunale fallimentare su segnalazione, al sovra indebitamento, alla riforma dei privilegi, all’introduzione (in parte già avvenuta) delle garanzie non possessorie, alla riforma dei gruppi di società, a quella di alcuni articoli del codice civile in materia di sindaci e di azione di responsabilità degli amministratori, ed altro ancora.

Ma un aspetto di particolare importanza, su cui la sensibilità dei media è stata finora più sorda, è quella del progetto dell’introduzione di una moneta fallimentare denominata Common. Ne ha parlato a Wall Street Italia l’avvocato Gianfranco Benvenuto, Studio legale Benvenuto, grande esperto in crisi di impresa e membro del comitato direttivo di ASCRI (Associazione Studio e Prevenzione Crisi di Impresa).

Il proposito è espresso – in termini un po’ criptici per la verità rispetto alla rilevanza del progetto – all’art 7 comma 9 del Disegno di legge in cui, illustrando le linee guida ispiratrici del D.lgs sulla nuova liquidazione giudiziale volte alla trasparenza ed efficientamento delle operazioni di liquidazione dell’attivo della procedura, si prospetta la presenza di “un ente che certifichi la ragionevole certezza di soddisfacimento dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura” e “il riconoscimento facoltativo ai creditori di un titolo che li abiliti a partecipare alle vendite dei cespiti in misura proporzionale alla misura dei crediti che l’ente gli ha certificato”.

Prima di esporre brevemente i termini del progetto, ritengo utile muovere dalle osservazioni di partenza che hanno alimentato la soluzione proposta. Nel paradigma concorsuale tradizionale il punto di partenza è la singola procedura in una prospettiva microeconomica; all’interno di questa logica i creditori sono destinatari di una percentuale di soddisfacimento che gli viene assicurata dalla liquidazione del patrimonio del debitore e i crediti sono pagati in proporzione al controvalore del patrimonio realizzato sul mercato delle vendite concorsuali.

Il meccanismo richiede la partecipazione alle aste di soggetti economici che approfittino dell’offerta che viene loro rivolta dal mercato delle insolvenze.

In condizione di salute del mercato e dunque con liquidità sufficiente a rispondere all’offerta, il mercato, composto dai numerosi soggetti economici “acquirenti”, concorre a garantire un’efficienza dei prezzi di vendita che comporta la massima valutazione possibile dei beni liquidati del fallito e, in conseguenza, la massima soddisfazione per i creditori.

Legge fallimentare: riduzione domanda produce tendenza deflazionistica sul mercato dell’insolvenza

Tuttavia la riduzione della domanda per una compressione della liquidità in generale, produce sul mercato dell’insolvenza una tendenza deflazionistica che si riflette sui prezzi e favorisce le aspettative ribassiste e le strategie attendiste dei soggetti economici; le strategie attendiste producono una conferma della tendenza deflazionistica favorendo l’avvitamento negativo del processo.

Si verifica pertanto ciò che tutti possono constatare, soprattutto nel mercato immobiliare in cui i beni del fallito in vendita fanno fatica a tenere il prezzo e richiedono interventi di sua riduzione; il problema trova un’espressione aggravata, se possibile, nel mercato dell’insolvenza in cui l’attesa e l’aspettativa di un prezzo sempre migliore è alimentata dall’eccesso di offerta.
Quanto descritto si riflette ovviamente sulla scarsa soddisfazione degli stessi creditori che a loro volta arricchiscono la catena dell’insolvenza a causa dell’insuccesso nella riscossione del credito.

Al problema si cerca di dare una soluzione attraverso l’introduzione del c.d. Common (o moneta virtuale) e un ribaltamento delle logiche fino ad ora sperimentate nelle procedure concorsuali.

La novità parte innanzi tutto da un presupposto già realizzato in realtà dalla riforma del D.L. 85/2015 costituito da un portale delle vendite pubbliche che opera attraverso una piattaforma che raccoglie tutte le richieste di vendita di immobili o beni del fallito mobili registrati superiore a €25.000; quindi il progetto si avvia su presupposti macroeconomici e non microeconomici come il precedente sistema.

Chiusura del fallimento: creditori possono scegliere moneta common virtuale al posto dell’euro

I creditori possono scegliere se essere soddisfatti in moneta corrente (euro) o in moneta virtuale spendibile nel portale delle vendite pubbliche; questa opportunità è offerta solo ai portatori di crediti che abbiano una ragionevole probabilità di soddisfazione. I creditori che hanno convertito in Common le loro aspettative possono spenderli presso ogni altra procedura per l’acquisto di ogni tipo di bene posto in vendita.

Il giudizio della ragionevole probabilità di soddisfacimento e la sua misura di conversione in Common è certificata da un ente nazionale che ha il compito di eseguire la stima del valore del credito sulla base della stima del bene durevole presente nel patrimonio della procedura e su cui il comitato dei creditori o il creditore ha l’attesa di realizzare (in parte) il proprio credito.

Il valore attribuito ai beni del fallito non è frutto di una valutazione d’autorità del loro prezzo di mercato (in quanto in questo caso si ricadrebbe nella logica attuale) ma un valore-soglia sotto il quale opera il ritiro del bene dalla vendita.

Il tempo necessario per testare la tenuta del mercato sui beni è di tre anni che coincide con il tempo di durata del Common dopodiché i beni del fallito non venduti a cui sono legate le monete virtuali, sono convertiti in quote di un fondo a cui sono conferiti i beni stessi.

Dunque il creditore ha la possibilità di moltiplicare le opportunità di soddisfacimento:

  • i) attraverso la vendita dei beni del fallito e conversione del Common in euro prima del triennio di scadenza;
  • ii) attraverso l’acquisto operato sul portale nazionale utilizzando il Common ricevuto al momento dell’insinuazione;
  • iii) attraverso la conversione del Common in quote di un fondo immobiliare che si occuperà di gestire e vendere il patrimonio immobiliare ereditato.

Il sistema, molto sinteticamente descritto, dovrebbe avere l’effetto di aumentare la liquidità in quanto mette in concorrenza con i soggetti economici che normalmente si rivolgono a questo mercato, anche tutti i creditori che hanno interesse a convertire il proprio credito nell’acquisto di un bene; l’aumento della liquidità concorre a favorire un rialzo dei prezzi che a propria volta riduce le strategie attendiste e incrementa anzi le aspettative al rialzo che ulteriormente trasmettono al mercato la comunicazione della tendenza al rialzo dei prezzi con miglior soddisfacimento dei crediti ed avvio di un processo virtuoso e virale.

Peraltro poiché uno dei principali creditori nelle procedure concorsuali e nelle proposte di concordato è lo Stato questo, attraverso il Common , può aiutare a sostenere il mercato acquisendo immobili per politiche sociali o di patrimonializzazione o pagare debiti delle Pubbliche Amministrazioni verso le procedure (si pensi alla restituzione di un credito fiscale), oppure offrirli ai propri creditori in pagamento di debiti commerciali della P.A.

In conclusione l’introduzione di questa novità nel contesto della procedura di liquidazione dei liquidatori giudiziali, vale già di per sé la riforma in quanto è uno strumento potente capace di sparigliare le carte della nostra economia stagnate per una sovrabbondanza di offerta generata da un esubero di procedure esecutive immobiliari o di procedure fallimentari al cui interno sono presenti beni (immobili o no) di difficile assorbimento dal mercato.