Economia

Investitori italiani, pensione in cima alle preoccupazioni secondo Moneyfarm

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Sono tanti gli interrogativi che gli investitori italiani si pongono dall’insorgere dell’emergenza Covid: da quali siano le scelte di investimento più oculate o vincenti a quali siano le prospettive per il proprio futuro finanziario.  Se l’investitore digitale appare sicuramente più evoluto, c’è ancora un nodo da sciogliere che crea non poche incertezze, a tutti i livelli: la pensione.

È quanto emerge da un sondaggio condotto da Moneyfarm, società di gestione del risparmio con approccio digitale, su un campione di circa 1.380 investitori residenti in Italia, che ha fotografato l’impatto della pandemia sulle prospettive degli investitori digitali.

Le caratteristiche demografiche (età, patrimonio, provenienza geografica) del campione rappresentano uno spaccato della popolazione italiana, che gode di una discreta stabilità lavorativa e finanziaria e dimostra un buon grado di familiarità con gli investimenti.

L’investitore digitale non cade nel panic selling

Quello dell’investitore digitale si conferma un pubblico attrezzato per affrontare momenti critici sui mercati, più vaccinato a quella paura che abbiamo visto provocare due reazioni opposte ma in fondo uguali nella loro irrazionalità: la fuga dai mercati (panic selling) e la corsa al fai-da-te su piattaforme di trading online.

Per l’80% degli intervistati la volatilità sui mercati degli ultimi mesi ha rappresentato un’opportunità e non un rischio. La tendenza a tenere liquidità sul conto corrente per il 75% di questo campione è diminuita o rimasta invariata; il 70%, anzi, ha investito o intende investire l’extra-risparmio che ha accumulato durante il lockdown.

Tra coloro che vogliono investire o hanno investito anche la scelta degli strumenti è interessante, con i prodotti del risparmio gestito (58%) a farla da padrone; il 7% mostra interesse per attività speculative come il trading online e solo l’1% del campione dichiara di orientarsi verso i Titoli di Stato, sottopeso quest’ultimo che denota una certa consapevolezza dell’importanza di minimizzare, attraverso la diversificazione degli strumenti in portafoglio, il rischio Paese a cui questi investitori sono già esposti con il loro lavoro e le loro proprietà immobiliari.

Il 97% del campione dichiara inoltre che durante l’emergenza Covid non ha disinvestito né ha diminuito la frequenza dei suoi versamenti nei piani d’investimento che ha in corso, dimostrandosi quindi consapevole di un’altra regola d’oro per investire in modo efficiente: mantenersi coerente ai propri obiettivi di lungo termine.

È evidente che stiamo parlando di un investitore evoluto, che pondera accuratamente le proprie scelte d’investimento in base alla propria propensione al rischio e orizzonte temporale.

La maggiore preoccupazioni: la pensione

Tra le principali preoccupazioni finanziarie degli intervistati c’è la pensione, per ben il 46% del campione. Solo il 21% si definisce preoccupato o molto preoccupato della propria capacità di spesa, il 29% del lavoro (percentuale, però, che aumenta in modo significativo tra le donne, arrivando al 34%).

Questi dati confermano la relativa stabilità del campione e che le donne si percepiscono in una situazione lavorativa più precaria. Accanto alla pensione, il 55% è preoccupato di sistemare i figli (tra chi ce li ha) e il 45% è preoccupato per l’acquisto della prima casa. Andando a escludere gli over 55, addirittura più di un rispondente su due si dice molto preoccupato per la pensione (53%).

Anche quando guardiamo all’impatto negativo dell’epidemia Covid sulle prospettive degli investitori, la previdenza resta in testa (38%), superando il lavoro (34%) e gli investimenti (33% – anche qui si nota una chiara tendenza per le donne a percepire meno sicurezza in ambito lavorativo, con un 40%).

L’incertezza della pensione deriva soprattutto da una sfiducia generalizzata nel sistema previdenziale pubblico: il 69% dichiara poca o nessuna fiducia.

Il nodo previdenza

Nonostante la previdenza sia la principale fonte di preoccupazione per questo campione di investitori, questa paura non si traduce in un atteggiamento proattivo, con il 38% degli intervistati che dichiara di non essersi mai documentato su quando andrà in pensione.

Se non stupisce il dato degli under 45, con circa il 60% che dichiara di non essersi ancora informato, colpisce il 30% di persone tra i 45-55enni e addirittura il 20% degli over 55.

Non sorprende, quindi, che anche le ipotesi degli intervistata sull’età pensionabile e quelle sul proprio assegno pensionistico siano in certi casi errate e sovrastimate: fra gli under 35, quasi il 18% se interpellato non sa dare una stima precisa di quando andrà in pensione e il 32% sovrastima l’importo del proprio assegno; tra coloro con età compresa tra i 35 e i 45 sono rispettivamente il 12% e il 33%.

Il dato colpisce perché riferito a un segmento della popolazione particolarmente avvezzo agli investimenti.

Giovanni Daprà, Co-fondatore e Amministratore Delegato di Moneyfarm, ha concluso:

“Anche tra gli investitori digitali, che da quanto emerge dall’indagine sono tra i più sofisticati nel panorama degli investitori retail, abbiamo riscontrato delle difficoltà nella pianificazione previdenziale. Spesso si dice che in Italia manchino educazione finanziaria e propensione a investire. Non è del tutto vero. A volte c’è una difficoltà nel far convergere servizi e domanda. È quindi compito dell’industria del risparmio venire incontro a queste esigenze offrendo soluzioni adeguate. Crediamo che una consulenza digitale, efficiente e trasparente possa essere la soluzione”.

L’ardua scelta della pensione complementare

Per quanto riguarda la scelta di una soluzione di previdenza integrativa, il 42% ne è ancora sprovvisto, con punte del 60% tra i giovani.  

Tra chi non ha alcun piano attivo, il 58% dichiara di optare per altre soluzioni, il 26% non ha avuto tempo per informarsi, il 9% non ha risparmi a sufficienza per farlo e il 7% ritiene l’orizzonte temporale troppo lontano. Poco meno di uno su due (45%) ritiene necessario aderire a un piano nei prossimi 5 anni. 

Sebbene questi numeri siano migliori rispetto alla tendenza nazionale indicata da dati Covip (solo 1 lavoratore su 3 in Italia ha aderito alla previdenza complementare) fanno emergere comunque lo scoglio della scelta di soluzioni previdenziali ottimali, anche tra coloro che hanno maggiore dimestichezza con gli investimenti. 

Tra chi ha sottoscritto un piano di previdenza integrativa, la stragrande maggioranza (48%) dichiara di avere accesso a un fondo negoziale mentre solo il 17% ha un fondo aperto, il 12% ha scelto un Pip, mentre il 14% ha più di uno strumento. 

Il luogo di lavoro si conferma infatti il canale privilegiato per l’accesso alla previdenza per il 48% degli intervistati, contro il 40% che si è documentato in modo autonomo e il 12% che si è rivolto a un professionista. Interessante notare che escludendo dal campione chi ha optato per un fondo negoziale o chi ha usufruito del benefit aziendale, ben il 67% degli intervistati dice di essere sprovvisto di uno strumento di previdenza integrativa. 

Per quanto riguarda la consapevolezza rispetto al proprio piano nonostante oltre il 71% sappia indicare con esattezza la linea d’investimento del proprio fondo (azionaria, bilanciata, obbligazionaria), ben il 60% non conosce i costi associati a esso. 

Emerge, ancora una volta, come la scelta previdenziale sia ancora in molti casi problematica (anche per investitori con maggiori risorse), specialmente al di fuori del posto di lavoro.