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Investire nelle banche: semaforo verde, ma con eccezioni

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NEW YORK (WSI) – Semaforo verde per il settore del credito mondiale, ma con qualche eccezione. Secondo Julian Wellesley, analista azionario senior di Loomis Sayles, “Le prospettive per la maggior parte delle grandi banche di tutto il mondo rimangono favorevoli, e uno dei motivi è che molte banche globali hanno registrato per un paio d’anni costi insolitamente bassi di smaltimento dei crediti in sofferenza”.

Tuttavia, secondo l’esperto, “ci sono alcuni segnali preliminari di allarme i quali indicano che sul mercato stanno nascendo delle difficoltà”. A partire dall’esposizione a materie prime ed energia. Un esempio per tutti, secondo Wellesley, è offerto da Standard Chartered, che ha un’esposizione alle materie prime del 9%.

L’analista passa quindi in rassegna anche gli istituti asiatici. “Dopo aver ampiamente evitato le ultime due recessioni globali (2003 e 2009), le banche asiatiche sembrano più vulnerabili ora. Le banche dei Paesi esportatori di materie prime sembrano relativamente deboli; la qualità del credito si è deteriorata in mercati come l’Indonesia e la Malesia”.

Detto questo, aggiunge Sayles: “le banche asiatiche partono da una posizione di elevata redditività e capitale forte, quindi il deterioramento del credito è un problema di reddito, non di capitale. La crescita dei prestiti ha già rallentato; ora è al 10% o meno nella maggior parte della regione (fatta eccezione per la Cina, che è al 15%), secondo la disponibilità dei dati delle banche centrali. Finora non vedo segni del contagio dei mercati finanziari a cui abbiamo assistito nella crisi asiatica del 1997-1998”.

Una citazione a parte meritano le banche Usa. Queste ultime “hanno una bassa esposizione al settore minerario e petrolifero, normalmente intorno al 2-3%”. Ci sono tuttavia delle eccezioni, come Comerica, con sede in Texas, “che ha un’esposizione più elevata, con l’energia che rappresenta il 7% dei suoi crediti a metà anno. I crediti critici (cioè di qualità inferiore) di Comerica [ii] sono aumentati del 25% nei primi sei mesi del 2015, a quasi il 5% del totale dei crediti. Tuttavia, i costi di smaltimento dei crediti in sofferenza erano solo lo 0,2% dei prestiti nel secondo trimestre, meno della metà della media di lungo periodo”.

“Penso che le cose potrebbero andare peggio. Le linee di credito delle aziende di esplorazione e di produzione di petrolio più piccole si basano solitamente sul valore delle riserve conosciute e sono condivise da un gruppo di banche. Queste linee di credito sono esaminate due volte all’anno, in primavera e in autunno. Le banche hanno ridotto le linee di credito alle società di esplorazione e produzione in misura modesta la scorsa primavera, anche dopo che i prezzi del petrolio erano scesi di oltre il 30%. Le banche preferirebbero non essere così generose, ma non vogliono portare i loro debitori all’insolvenza”.

Meno rischiose, in linea di massima, appaiono le banche australiane. “Queste ultime hanno un’esposizione sorprendentemente bassa nei confronti delle aziende energetiche, considerato che entrambi i Paesi sono grandi produttori di energia. I settori minerario ed energetico sono normalmente solo il 3% dei loro prestiti. Australia and New Zealand Banking Group potrebbe essere più a rischio, dal momento che ha perseguito una strategia di “crescita asiatica” per oltre un decennio.