Società

In Norvegia una smart city autonoma avrà la propria criptovaluta

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A cura di Matteo Oddi

La scorsa settimana la creazione del JPM Coin, una moneta digitale emessa da JP Morgan per velocizzare i pagamenti dei suoi clienti istituzionali, ha colpito molti di sorpresa, specialmente chi ricorda le frasi al vetriolo del CEO Jamie Dimon, che due anni fa definì Bitcoin “una truffa” e “una bolla finanziaria peggiore di quella dei tulipani”, tra l’altro minacciando di licenziare qualsiasi trader della sua banca che avesse effettuato operazioni con la criptovaluta.

Gli esperti del campo tuttavia ci tengono a chiarire che non si tratta di un vero e proprio voltafaccia. “Con un network chiuso, le transazioni verificate da autorità di fiducia e la parità con il dollaro, JPM Coin si presenta come qualcosa che non ha nulla a che spartire con Bitcoin e i suoi principi fondanti di trasparenza e decentralizzazione, o anche con la sua proverbiale volatilità” commenta Anatoliy Knyazev di Exante.

Il celebre economista Nouriel Roubini, uno dei critici più feroci dell’intero settore blockchain, ci va giù ancora più duro su Twitter, dove afferma senza mezzi termini: “Chiamarlo criptovaluta è uno scherzo”.

Esperimento di criptovaluta governativa

Detto questo, gli Stati Uniti non sono certo l’unico luogo dove il calderone delle crypto offre casi d’uso curiosi ed iniziative interessanti che, potenzialmente, rischiano di fare epoca.

In questi giorni la comunità di Liberstad, nel sud della Norvegia, il primo esperimento al mondo di città privata e autonoma dal governo di uno Stato sovrano, ha annunciato ufficialmente l’adozione di una criptovaluta come unico mezzo di scambio accettato.

Il City Coin, questo il suo nome, è infatti una moneta digitale basata su City Chain, una piattaforma blockchain che consente di progettare, realizzare e utilizzare servizi di nuova generazione per le smart city e i loro abitanti, i quali vi potranno accedere attraverso un’app municipale.

Questa criptovaluta potrà essere utilizzata per pagare di tutto, “dai tagli di capelli all’acquisto di uova o una pagnotta di pane”, come si legge in comunicato diffuso dalla City Chain Foundation, inclusi gli stipendi dei lavoratori e i terreni all’interno di Liberstad (già più di 100 ne sono stati venduti in questo modo).