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I tempi e i costi dilatati della giustizia italiana che terrorizzano gli investitori

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Roma – È banale, ma sacrosanto: non c’è azienda che decida d’investire se non ha fiducia in un Paese. L’economia vive di fiducia. E finora, al riguardo, è stato sottovalutato l’impatto negativo di una giustizia inefficiente. Che diventa immediatamente un freno. «Il costo sociale dell’inefficienza della giustizia – ripete spesso la ministra della Giustizia, Paola Severino – è enorme».

Forte della sua esperienza di avvocato che ha patrocinato diverse grandi aziende italiane, la Severino è particolarmente attenta a questi aspetti. È lei che s’è inventata il Tribunale delle imprese, che in pratica sono sezioni specializzate per creare una corsia preferenziale. Qualcuno potrebbe obiettare: perché preoccuparsi di una giustizia efficiente per le aziende e non per il comune cittadino?

La risposta l’ha data l’ex Governatore di Banca d’Italia, Mario Draghi: «Perché la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a 1 punto percentuale del Pil». In cifre, sono 18 miliardi di euro che ci potrebbero essere e che non ci sono. E ciò significa, in concreto, che ci sono multinazionali che rinunciano ad aprire fabbriche o filiali da noi perché terrorizzate dalla prospettiva di affrontare 41 passaggi per risolvere una controversia commerciale. Peggio di noi fanno solo Brasile e India. In Irlanda ne bastano la metà.

A fronte di una procedura bizantina, ovviamente lievitano i tempi: come ricorda la Fondazione Hume, se in media nei Paesi Ocse occorrono 511 giorni per vedere risolta la controversia, in Italia serve una pazienza infinita perché i giorni in media saranno 1210. Per non parlare dei costi: le spese legali alla fine assorbiranno quasi il 30% del valore in causa quando nei principali Paesi europei si spende al massimo il 20% (e in Norvegia il 9,9% del valore della disputa).

Su quanto sia fondamentale una giustizia veloce in campo economico, è arciconvinto anche Michele Vietti, il vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura: «L’efficienza è un elemento di attrazione degli investimenti, di sviluppo della competitività, di crescita del Paese». Riconosce, Vietti, dubbioso al fondo che se ne possa venire a capo mantenendo inalterati i tre gradi di giudizio, che l’accelerazione dei tempi dev’essere una responsabilità anche dei magistrati e del Csm. «Ma un’accelerazione dei tempi dei processi che è una assoluta priorità».

Qualcuno si meraviglia, alla fine, se le imprese straniere evitano accuratamente di mettere radici in Italia oppure se le nostre stentano? Confindustria da tempo studia la situazione. Nel giugno 2011 ha presentato un rapporto che collega la natalità delle imprese con l’efficienza della giustizia. In estrema sintesi: l’eccessiva durata dei processi, rendendo più incerti i rendimenti delle imprese, ne scoraggia i progetti e gli investimenti e, quindi, anche le dimensioni; più un’impresa è grande, infatti, più diventa complessa e rischiosa la gestione contrattuale. Confindustria stimava che tagliando del 10% la durata dei procedimenti si avrebbe avuto un aumento di circa lo 0,3% della dimensione media delle imprese.

Teorie, potrebbe dire qualcuno. Ci sono delle conferme empiriche, però. Facendo un’analisi comparata tra province con diversa qualità della giustizia civile , s’è scoperto un effetto perverso sul mercato del credito: a parità di altre condizioni, dove più ci sono processi pendenti, e quindi dove i tempi del giudizio si allungano, si riduce la disponibilità di credito per imprese e famiglie. Giustizia più efficiente significa credito più amichevole. C’è anche questo problema, insomma: una difformità tra aree del Paese quanto a risposta della macchina giudiziaria. Ma ora, con buona pace degli avvocati, il governo sta ridisegnando la geografia giudiziaria, cancellando le sedi piccole e concentrando gli organici nelle sedi maggiori. Presto se ne vedranno gli effetti.

È ora di rendere più efficiente la nostra giustizia civile, insomma, perché l’economia ne risente. Un tribunale che funziona significa più o meno occupazione, maggiore o minore disponibilità delle banche, espansione o contrazione delle imprese. Perfino «Notarilia», compassata rivista scientifica di diritto, nel suo ultimo numero pubblica un accorato grido di allarme del suo direttore, Nunzio Bevilacqua, sulle opere pubbliche che non decollano e che sarebbero così indispensabili per modernizzare l’Italia e anche per creare occupazione: «A frenarle – scrive -, tra l’altro, c’è il rischio di inflazione, il rischio di tasso di interesse, il rischio legale, il rischio politico».

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