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Governo: Napolitano, pronto il premier per convincere Grillo

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ROMA (WSI) – Tutti, a partire dai grillini, sanno che un governo bisogna farlo e tocca farlo a Re Giorgio Napolitano. Il quale, più passa il tempo e più emerge con chiarezza, ha un solo colpo in canna e sa di doverlo usare bene, calibrarne la gittata sino a Palazzo Chigi, non un metro di lato, ne’ avanti ne’ indietro.

Re Giorgio ha stabilito l’identikit: si tratta di una personalità fuori dalla militanza politica, culturalmente piu’ vicino alla sinistra, competente sul piano giuridico ed economico, preferibilmente capace di terzietà, a capo di una squadra di personalità di area, ma non espressione della militanza di partito cui alla fine anche per Grillo Beppe sarà difficile dire di no, quanto meno per l’avvio della legislatura e fino a quando non dovessero davvero emergere i limiti e le contraddizioni di un percorso con l’unico sbocco delle elezioni anticipate.

E chi si può avvicinare all’identikit che sul Colle più alto stanno disegnando centimetro per centimetro? Certo, Visco Ignazio, governatore della Banca d’Italia. Certo, Draghi Mario, governatore della Banca Centrale europea e salvatore dell’euro.

Ma non è tempo di uomini troppo facilmente etichettabili dai grillini come rappresentanti dei poteri forti internazionali e quindi Napolitano e i suoi stanno virando verso personalità di più spiccata estrazione popolare, forti di curriculum di competenza che possano far aprire il cuore dei grillini fino al voto favorevole e sui quali alla fine potrebbero convergere i voti del Pd e un appoggio esterno del Pdl, che ha tutto l’interesse a non restare fuori dalla partita. I nomi? Se il colpo in canna e’ uno soltanto, anche il nome e’ unico, ma è troppo presto per farlo e al Colle la consegna del silenzio è ferrea come non mai (ma Wall Street Italia indica comunque il nome di uno dei papabili, qui a fondo pagina).

La condizione e’ semplice: nessun accordo politico, solo fiducia tecnica da parte dei grillini per consentire la nascita di un governo che provi a far ripartire l’economia, aiuti le fasce sociali più deboli, faciliti la riforma elettorale e realizzi quanto meno la metà degli otto punti del programma di Grillo Beppe, ovvero tutti quelli che non comportano modifiche costituzionali (se l’accordo e’ di breve periodo, altrimenti orizzonte di almeno un anno) e l’altra metà degli otto punti di Bersani Pierluigi.

Tale governo sarà’ la risultanza diretta di consultazioni durante le quali i grillini diranno con forza al Capo dello Stato che non appoggeranno alcun governo Bersani, ovviamente alcun governo proposto da Berlusconi, ne’ un governo espressione di partiti di qualunque estrazione politica, neppure se guidato da un non politico ma dentro un accordo politico con i partiti tradizionali. I grillini non lo faranno, punto e basta.

Questo ha alcune conseguenze:

1. Bersani Pierluigi si rassegni, la smetta di rincorrere Grillo e i suoi e si ricordi che il suo premio di maggioranza alla Camera nello scenario scaturito dai risultati elettorali non ha, di fatto, la legittimazione sostanziale assicurata dal consenso nel Paese. Stefano Folli sul Sole 24 Ore di oggi paragona il leader attuale del Pd a Mose’ che portò il suo popolo sulla soglia della terra promessa ma non riuscì a entrarvi. Quindi, aggiungiamo noi, niente mandato esplorativo per evitargli di affondare come la Concordia al Giglio.

2. Non esiste nemmeno tra le ipotesi ravvicinate del terzo tipo di lasciare in carica Monti Mario o di affidargli un nuovo incarico. Oggi il marito di Antonioli Elsa, dimenticate le svenevoli presentazioni del suo libro con la coautrice francese chez Fazio Fabio, per la prima volta ha drammaticamente percepito tutto l’errore della sua candidatura, e’ pentitissimo di averlo fatto solo ora che ha capito che, se fosse restato fedele alla missione affidatagli dal Quirinale, in questi giorni sarebbe già stato acclamato coram populo come salvatore aggiunto della Patria e non ci sarebbe nessuno che potrebbe osare di mettere in dubbio, incredibile a dirsi (e noi infatti lo registriamo non credendoci), persino il suo phd americano. Siamo certi invece che non vi siano controversie sul fatto che egli mai ebbe a partecipare allo Zecchino d’oro.
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E se dal cilindro di Giorgio Napolitano non dovesse uscire il governo dei competenti di cui sopra? Si tratta di una ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione, poiché il Paese non si può permettere di non avere un governo, sia pure limitato nel tempo e nei compiti. Tuttavia, pur confermando tutta la nostra fiducia e pur riponendo tutte le nostre speranze in Re Giorgio, oggi non si può escludere nulla. E allora le ipotesi sarebbero soltanto altre due, di impatto e sapore politico completamente diverso:

La prima e’ questa: se la fantasia istituzionale del Colle piu’ alto non dovesse realizzare l’unico governo oggi ipotizzabile, il secondo “governo del Presidente” in poco più di un anno, la legislatura sarebbe morta prima di nascere. Il nuovo Presidente della Repubblica, eletto non si sa da quale schieramento e per mano dello Spirito Santo che casualmente si trovava già a Roma per altre e più alte incombenze, non può che mandarci a votare d’estate (anche qui, come a febbraio, sarebbe la prima volta), lo stesso Berlusconi Silvio avrebbe interesse a farlo subito e ancora sotto la sua guida elettorale. Avrebbe di fronte Renzi Matteo, in una specie di ritorno al futuro a pochi mesi da quello che avrebbe dovuto essere qualche settimana fa e invece non è stato.

La seconda ipotesi: D’Alema Massimo (non e’ un errore, diciamo D’Alema Massimo) e Berlusconi Silvio tirano fuori gli attributi e fanno il governo Pd/Pdl, assumendosi di fronte agli italiani tutti, a quelli che hanno votato Grillo Beppe e a quelli che non sono nemmeno andati a votare, la responsabilità di dare al Paese una guida attraverso una “personalità condivisa”, con un accordo politico vero sulle cose da fare subito per l’economia e le riforme istituzionali sfidando tutti, all’interno e all’estero, in mare aperto.

Obiettivo minimo: intesa vincolante per far ripartire l’economia e per cambiare in un anno l’architrave costituzionale (presidenzialismo o semi presidenzialismo, eliminazione delle provincie, dimezzamento dei parlamentari e quant’altro) e appuntamento al primo marzo 2014 per il “liberi tutti” e il via alle elezioni politiche e alle elezioni europee nella stessa tornata.

Grillo Beppe non sarebbe affatto contrario, poiché resterebbe da solo all’opposizione e capitalizzerebbe tutto (opposizione intransigente al novello grande inciucio e contemporanea esercizio di pratica parlamentare per i suoi eletti di febbraio), puntando ad avere a marzo 2014 anche il voto di chi a votare dieci giorni fa non c’è andato. Salvo sorprese di flop elettorali sempre in agguato perché se l’azione del governassimo dovesse risultare efficace, gli italiani lo registrerebbero.

Avvertenza importante: gli scenari diversi dal secondo governo del Presidente devono tutti misurarsi con le decisioni dei giudici di Napoli (compravendita senatori), Siena (Monte dei Paschi), Milano (vari processi), Busto Arsizio (Finmeccanica) ma anche Genova e Reggio Calabria, ricordiamoci queste due citta’.

In assenza di qualche moratoria, tutte le succitate sedi giudiziarie non fanno altro che lavorare per Grillo, in mancanza (per ora) di uno più duro dell’agit prop genovese, che in fondo e’ passato da una Prima Repubblica all’ombra dell’amicizia con il più grande democristiano doc dell’intrattenimento tv, Baudo Pippo, ad una Terza Repubblica che e’ gia’ segnata dal suo M5S, intreccio ancora informe tra una sorta di Scientology non si sa quanto all’amatriciana, un potenziale serbatoio di scilipotismo e la speranza di una politica migliore tra le macerie economiche di una Europa e di un euro che servono solo a mascherare lo strapotere ritrovato della Germania settanta anni dopo la Seconda guerra mondiale e a spezzare le reni non solo alla Grecia, ma all’Italia, unico paese europeo in grado di fare concorrenza all’industria tedesca anche nella tecnologia.

Venderanno meno auto qui da noi? Qualcuna in meno sì, ma dobbiamo purtroppo sapere che chi potrà permetterselo continuerà a farlo perché non ci sono più da tempo alternative italiane a Bmw, Audi e Mercedes.

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ROMA (WSI) – La questione della elezione del prossimo Presidente della Repubblica rischia di essere impostata in maniera distorta con l’alibi di trovare un assetto politico che consenta di uscire dall’impasse creata dalle elezioni del 24 e 25 febbraio.

Questa scelta, decisiva in una caotica e pericolosissima fase, rischia di diventare merce di scambio in un “compromesso scellerato” tra forze politiche che dovrebbero essere incompatibili. In questo quadro riteniamo anche di dover inserire la ventilata ipotesi di non elezione di un Presidente nuovo.
La delicatezza della situazione esige dal Parlamento una lungimiranza coerente all’attuale momento storico.

In particolare, la sinistra, che ha la maggioranza assoluta alla Camera e il gruppo senatoriale più ampio, trovandosi sulle spalle la maggiore responsabilità per i nuovi assetti politici e istituzionali, deve assumersi l’onere di una proposta che vada oltre l’immediata utilità di bottega e le pur legittime aspettative di personalità dei propri apparati.

Il paese ha bisogno di un Presidente della Repubblica che garantisca patriottismo costituzionale, rispetto rigoroso del costituzionalismo, esperienza istituzionale, saggezza personale, attitudine alla tutela delle regole della democrazia (in comprovato equilibrio tra i suoi aspetti formali e sostanziali), cultura dei diritti, attenzione e comprensione rispetto al valore della cittadinanza e alle mutazioni in corso che lo coinvolgono, prestigio internazionale, passione per la libertà come per l’equità, estraneità alla casta, ai suoi rituali, ai suoi privilegi, normalità e sobrietà di cittadino nei comportamenti privati.

Considerato tutto ciò, la candidatura che corrisponde a queste caratteristiche e al tempo stesso – a nostro giudizio – ha la possibilità concreta di riscuotere il necessario largo consenso è quella di Stefano Rodotà.

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di Maurizio Belpietro, direttore di Libero”

Come andrà a finire, mi chiedono allarmati parecchi lettori interessati a capire come si esce dall’impasse politico – istituzionale in cui ci siamo cacciati. La mia risposta è lungi dall’essere tranquillizzante: andrà a finire male, anzi malissimo. E non solo perché le elezioni hanno portato in Parlamento una banda di allegri buontemponi, che vorrebbero riportarci a vivere come i nostri nonni (leggete le proposte di alcuni esponenti del Movimento Cinque stelle e in particolare l’idea di abolire gli assorbenti igienici femminili per sostituirli con la coppoletta della luna), ma in quanto un gruppetto di signori – i soliti – sta cercando di fare i suoi giochetti sulla pelle degli italiani.

La situazione è la seguente: Bersani e compagni non hanno nessuna intenzione di fare un accordo con Berlusconi e il centrodestra, ma nemmeno vogliono trovare un’intesa con Grillo e con gli esponenti del suo partito. Né sono veri i minacciosi propositi di ritornare alle urne: dentro il Pd sanno bene che questa è un’ipotesi impossibile e poi non è detto che da una nuova tornata elettorale il Partito democratico esca vittorioso. Da due mesi di discorsi bersaniani la sinistra è uscita con le ossa rotte, perdendo tra il cinque e il sette per cento dei consensi, figuratevi se la campagna per il voto durasse da qui a giugno: il Pd lo troveremmo dimezzato.

E allora che succede? Semplice, la sinistra che si è convinta di aver vinto le elezioni vuole eleggere il suo capo dello Stato per mettersi tranquilla e non avere sorprese. E chi sarebbe la persona in grado di tutelare il Pd da ogni rischio? Giuliano Amato? Mario Monti, Anna Finocchiaro o il ministro Rosanna Cancellieri come qualcuno ha ventilato? Ma no, il candidato naturale è il collaudato Romano Prodi, uno che avendo occupato tutte le poltrone possibili può rivendicare per sé l’incarico più elevato, quello sul Colle.

L’ex ministro ed ex presidente dell’Iri, del Consiglio e della Ue ha dalla sua le ragioni del risarcimento morale confezionatogli su misura nell’ultima settimana, ovvero il caso De Gregorio. Come è noto, da quando esiste il Parlamento esiste anche la compravendita di parlamentari. All’epoca del primo governo D’Alema ne passò un blocco intero dal centrodestra al centrosinistra. Uno di essi, premiato con un incarico di sottosegretario, arrivava direttamente del Movimento sociale.

Tutti filantropi fulminati sulla via di Baffino? Ma è ovvio. Benefattori dell’idea progressista, voltagabbana per il bene dell’umanità, mica per un posto da ministro. Epperò, nonostante il mercato delle vacche (copyright Grillo) sia in voga da tempo, l’unico a finire nel mirino è stato Silvio Berlusconi. Fa nulla che la storia – se vera – risalga a sette anni fa né che non abbia a che fare con la caduta del governo dell’Ulivo nel 2008.

Sulla grande stampa è passato il concetto che Prodi fu vittima delle trame di Berlusconi, mentre, come è facilmente dimostrabile con una semplice ricerca d’archivio, il suo governo cadde perché gli tolsero la fiducia i parlamentari dell’Udeur (in seguito alle inchieste di Luigi De Magistris), Franco Turigliatto, parlamentare di Rifondazione comunista, e Domenico Fisichella, uno che era stato in An per poi finire nella Margherita. Con De Gregorio o senza De Gregorio (che era di fatto passato con il centrodestra un secondo dopo essere stato eletto), Prodi sarebbe dunque caduto lo stesso, perché il voto finì a 161 a 156.

Dunque? Dunque le stigmate del martire berlusconiano porteranno Prodi sul Colle. Ma questo è solo il primo passo, perché messo Mortadella sulla poltrona quirinalizia, ecco il resto, ovvero un governo balneare che galleggi da qui all’autunno, massimo primi di dicembre, giusto in tempo per ricevere uno splendido regalo di Natale, ossia Berlusconi ai ceppi. Già, perché la sentenza di secondo grado nel processo per i diritti Mediaset dovrebbe arrivare entro questo mese, e lavorando di lena si può giungere a una condanna definitiva proprio prima della fine dell’anno.

Per la sinistra sarebbe un dono magnifico, perché quello che non sono riusciti a fare lo spread, Monti, Bersani e persino Grillo alla fine riuscirebbe ai soliti giudici, i quali metterebbero fuori gioco, finalmente, l’odiato Cavaliere. Si tratterebbe del delitto perfetto, che toglierebbe di mezzo l’unico vero avversario dei compagni.

Senza di lui il Pdl si scioglierebbe come neve al sole e trovare i numeri per sostenere un governo della sinistra, garantendo al Pd e ai suoi alleati cinque anni di tranquillità, sarebbe un giochetto da ragazzi. In tal caso non si parlerebbe più di vincolo di mandato per i parlamentari, né di compravendita o di mercato delle vacche, ma solo di senso di responsabilità.

Lo stesso senso di responsabilità che spinge il quotidiano portavoce dei progressisti nazionali a farsi promotore di una raccolta di firme per dichiarare ineleggibile Berlusconi. Ovviamente, in nome della democrazia. Che il 30 per cento degli italiani, solo 124 mila persone in meno di quelle che hanno votato Pd, veda cancellato il proprio leader per far posto a Bersani e consentirgli di governare, a Repubblica importa poco. Ciò che conta è chiudere per sempre la guerra dei vent’anni. Rinchiudendo il Cavaliere in cella.

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