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Globalizzazione, quali scenari dopo la guerra in Ucraina e il coronavirus?

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Il conflitto in Ucraina avrà delle conseguenze sugli equilibri mondiali che andranno ben oltre la fine dei combattimenti e i cui contorni stanno iniziando a delinearsi già ora. L’invasione russa dell’Ucraina ha infranto il sogno di un mondo in pace, basato sui commerci e sulla omogeneizzazione dei consumi, già messo a dura prova dopo due anni di Covid. Gli shock subiti dalle catene di approvvigionamento hanno scosso i mercati alimentari, dell’energia e di altre materie prime facendone lievitare i prezzi.

Alcuni degli investitori più influenti di Wall Street, come Larry Fink, ceo di BlackRock, ritengono che queste interruzioni possano aver alterato per sempre l’ordine mondiale e la globalizzazione. Aziende e governi di tutto il mondo devono quindi ripensare le loro interdipendenze e rivedere le loro catene di approvvigionamento, produzione e assemblaggio.

Ma non solo, anche gli equilibri geopolitici stanno cambiando. A seguito delle sanzioni e dell’isolamento da parte della comunità internazionale, la Russia è destinata a uscire dai tavoli che contano e finire nell’ombra, a tutto vantaggio dell’Europa, che si appresta ad accogliere nuovi membri nell’Ue e a rinsaldare i legami con gli Stati Uniti grazie anche all’ingresso di nuovi paesi nella Nato. Insomma, un mondo nuovo che si prepara a una nuova fase storica nel quale anche la Cina, ancora alle prese con il Covid per la mancanza di un vaccino efficace, dovrà ridimensionare le sue ambizioni.

Stop alla globalizzazione

L’evento bellico è arrivato dopo due anni di pandemia che avevano già stravolto i rapporti tra nazioni, aziende e persino tra le persone. Per Larry Fink l’invasione russa dell’Ucraina rimodellerà l’economia mondiale, mettendo la parola fine alla globalizzazione che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni.

In una lettera agli azionisti, il fondatore di BlackRock ha spiegato che, da ora in poi, “le aziende e i governi guarderanno in modo più ampio alle loro dipendenze da altre nazioni. Ciò potrebbe portare le singole aziende a effettuare più operazioni onshore o nearshore, con un conseguente ritiro più rapido da alcuni paesi. Secondo il numero uno di BlackRock, la risposta delle aziende occidentali alle azioni della Russia dimostra il potere dei mercati dei capitali, e “come i mercati possono fornire capitale a coloro che lavorano in modo costruttivo all’interno del sistema e quanto velocemente possono negarlo a coloro che operano al di fuori di esso. La Russia è stata tagliata fuori dai mercati dei capitali internazionali“. “Questa guerra economica mostra cosa possiamo ottenere quando le aziende, supportate dai loro stakeholder, si uniscono di fronte alla violenza e all’aggressione” ha sottolineato Fink. Un cambio di prospettiva di tale portata è, a suo dire, la premessa per un’accelerazione dell’inflazione, simbolo da sempre delle incertezze economiche e delle paure per il domani. Un fenomeno che nei paesi avanzati e soprattutto in Europa non destava preoccupazione da qualche decennio, ma adesso è tornato prepotentemente alla ribalta.

Gli scenari post globalizzazione

Ma quindi la globalizzazione è finita per sempre? Per capire come sarà il mondo di domani l’Ispi ha disegnato quattro possibili scenari sulla globalizzazione, distinguendo tra uno più ottimistico e uno più pessimistico, analizzandoli in una prospettiva di breve periodo e un’altra di medio-lungo, cercando di capire cosa potrebbe accadere nel mondo a partire dal 2023.

Lo scenario più ottimistico prevede che le conseguenze a livello commerciale della situazione attuale potrebbero essere tutto sommato circoscritte visto che il peso economico della Russia è limitato: contribuisce solo per l’l,7% al Pil globale e per circa l’l,5% al commercio mondiale. Inoltre si trova in una posizione di vulnerabilità rispetto ai suoi principali partner commerciali. Guardando all’Europa, se per l’Unione europea la Russia pesa solo il 5% dei flussi commerciali (e per l’Italia, l’l,6% delle esportazioni), per Mosca gli scambi con i 27 Stati dell’Ue pesano per il 37% del suo import-export. La Cina, invece, vale il l4% delle esportazioni russe e i flussi commerciali con Pechino sono in continua crescita. Pertanto nel breve periodo, secondo questo scenario, la Russia (e l’Ucraina) soffriranno una pesante recessione – la Banca Mondiale prevede che il Pil di Mosca e Kiev si contrarrà rispettivamente almeno del l0% e del 40% nel 2022 – ma le conseguenze per l’economia mondiale potrebbero essere contenute. Le catene di fornitura resteranno comunque sotto pressione soprattutto a livello regionale: la rotta Mediterraneo-Mar Nero è praticamente bloccata, con il prezzo dei noli dei cargo che trasportano cereali da Russia e Ucraina raddoppiati nelle ultime settimane.

Nel medio-lungo periodo ci potremo invece attendere un incremento delle iniziative di regionalizzazione commerciale a scapito di quelle a più ampio respiro geografico, soprattutto in relazione ad alcuni settori e filiere produttive strategiche. Nel quadro dell’approccio di cosiddetta “autonomia strategica”, secondo l’Ispi ci potremo aspettare iniziative di aumento della produzione “europea” di beni intermedi ad alta intensità tecnologica, con un progressivo sganciamento dall’Asia e un riavvicinamento agli Usa. Questo approccio deve però fare i conti con la disponibilità di materie prime. Non è semplice infatti sostituire solo con fornitori ”amici” gli oltre 390 beni per cui l’Ue dipende all’esterno.

Un mondo polarizzato

Lo scenario più pessimistico elaborato dagli esperti dell’Ispi ipotizza invece la creazione di blocchi economici e commerciali contrapposti, nel caso in cui ad esempio la Cina dovesse schierarsi con la Russia. Questa mossa, ritenuta poco probabile al momento, farebbe scattare delle sanzioni secondarie contro Pechino che avrebbero un impatto molto forte sulle economie occidentali ma anche su quella cinese. Pechino vale oltre il 10% delle esportazioni europee e il 22% delle importazioni: numeri ben diversi ma che fanno capire come l’interdipendenza con la Cina sia molto superiore rispetto a quella con Mosca.

I costi di una frammentazione dei mercati in questo scenario sarebbero davvero elevati. Nel breve periodo eventuali sanzioni contro la Cina porterebbero a una forte riduzione degli scambi commerciali internazionali e a una nuova paralisi lungo le principali catene di fornitura, con un impatto pesante sull’economia del Vecchio Continente. Se si verificasse questo scenario, nel medio-lungo periodo si potrebbero creare due grandi blocchi contrapposti: da una parte i paesi occidentali, dall’altra la Cina che assorbirebbe nella sua orbita la Russia (che vale dieci volte meno a livello di popolazione e di Pil), nonché gli altri paesi del sud est asiatico. I potenziali danni economici di questa separazione sarebbero significativi per entrambi i blocchi.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di giugno 2022 del magazine di Wall Street Italia