(Teleborsa) – Il peso del 7% nell’azionariato di Unicredit Group e la presenza di un libico nel board della Banca di Piazza Cordusio hanno permesso a Profumo di entrare in Libia dalla porta principale, assicurandosi cioè l’unica licenza bancaria messa in gara dal Governo del più ricco Stato magrebino. La concorrenza della Britannica HSBC è stata superata e Profumo si appresta ad aprire una banca di diritto libico con il 49% del capitale riservando il 51% a investitori locali. Insomma a contar bene circa il 12% del capitale di Unicredit è di matrice araba, sommando alla quota detenuta dal governo di Gheddafi il 4,9% in mano allo sceicco di Abu Dhabi, e questo provocherà sicuramente degli attriti tra i soci storici che insieme cumulano una partecipazione del 12% circa. Il problema comunque è più politico che operativo perchè se è vero che la Lega potrebbe avanzare chiarimenti su sollecitazione di CariVerona, è anche vero che una forte presenza bancaria in Libia permetterà alle imprese italiane di avvantaggiarsi di tutta una serie di procedure, con ricadute positive in quelle regioni ben collegate alla Libia come Germania e Turchia, oltrechè l’Italia in chiave export, e verso le quali la presenza di Unicredit Group è molto capillare. Il problema più immediato da risolvere e che, qualora non lo fosse potrebbe davvero far infuriare il socio veronese in primis è l’eventualità che la Libia possa ottenere un diritto di voto pieno sul 7% del suo pacchetto attraverso due soggetti separati come la Banca Centrale Libica e Il Lybian Investment Autority, nonostante lo statuto della Banca milanese disponga un blocco ai diritti di voto oltre il 5%. E’ diffusa la preoccupazione, quindi, che Unicredit Group sposterà altrove il centro decisionale delle strategie bancarie che l’hanno portata ad essere la prima banca italiana e una delle più rilevanti a livello europeo.
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