Tutto come previsto. Ieri la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse statunitensi. Il costo del denaro rimane dunque fissato tra 1,50% e 1,75%. Lo ha comunicato a fine riunione il Federal Open Market Committee, l’organismo che è il principale strumento di politica monetaria della Federal Reserve.
Ma la vera novità riguarda l’inflazione, ora vicina al 2 per cento, e che non viene più vista come impedimento alla politica monetaria restrittiva e che quindi prelude a una nuova stretta. In tale senso, il comunicato di ieri non presenta più rispetto al precedente la frase secondo la quale “il Comitato intende monitorare l’inflazione molto da vicino”.
L’assenza di questa frase rafforza l’idea che gli aumenti del costo del denaro continueranno, sia pure in modo graduale, a da parte della Fed. Sembra quindi sempre più probabile che il prossimo appuntamento, il 13 giugno, quando è prevista anche una conferenza stampa del presidente Jerome Powell e la pubblicazione delle nuove proiezioni macroeconomiche, sarà l’occasione per il prossimo rialzo.
Secondo gli analisti, le condizioni economiche preannunciano un aumento dell’inflazione e dovrebbero spingere la Fed a fare quattro rialzi nel 2018, invece dei tre previsti in precedenza.
L’ultimo rialzo dei tassi risale allo scorso 21 marzo, quando la Banca Centrale ha deciso la prima stretta monetaria, di 25 punti base, del 2018 dopo le tre varate nel 2017. Il rialzo di marzo è stato il sesto dal dicembre del 2015 quando la Banca centrale americana ha ricominciato ad rialzare i tassi che erano fermi al giugno del 2006.