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Fallimento Silicon Valley Bank, c’è un rischio contagio?

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Un crac rapido e repentino, quello che ha sconvolto il settore bancario americano e che ha visto collassare nel giro di 48 ore la Silicon Valley Bank. A causare il tutto è stato, come vedremo nell’analisi, l’aumento dei tassi di interesse. Ora però tutti, dopo le perdite accusate dai mercati finanziari, si chiedono se c’è un rischio contagio, anche in Europa.

Cosa è successo a Silicon Valley Bank

La SVB era una delle più grandi banche statunitensi con circa 210 miliardi di asset, che la rendevano il 16° istituto di credito negli Usa. Nel 2021 SVB ha cavalcato l’onda del successo degli investimenti in start-up, con i depositi che sono passati da 102 a 189 miliardi di dollari. La banca, in cerca di rendimenti, ha deciso di investire 120 miliardi di dollari in un portafoglio di titoli di Stato a lunga scadenza, e Mortgage Backed Security (91 miliardi in obbligazioni a tasso fisso). Scelta che ha esposto la SVB a forti perdite, vista la politica aggressiva messa in campo dalla Fed, che ha fatto calare il valore delle obbligazioni, causando di fatto perdite per diverse miliardi di dollari alla banca.

A inizio marzo la SVB ha annunciato una perdita di 1,8 miliardi di dollari e ha deciso di condurre un aumento di capitale per 2,25 miliardi per cercare di sostenere il bilancio. L’operazione non ha avuto successo e l’effetto è stato un vero e proprio tsunami tra gli investitori e i depositanti, che hanno reagito con una vera e propria corsa agli sportelli. Questa ha determinato prelievi per 42 miliardi nella prima parte della giornata del 9 marzo 2023, portando la banca ad avere un saldo di cassa negativo per circa 958 milioni di dollari alla chiusura dei mercati. A poco sono serviti i tentativi di salvataggio, visto che la SVB è diventata insolvente. Dopo la Silicon Valley Bank ci sono stati altri due fallimenti: la Signature Bank e la Silvergate Bank, più piccola ma nota per i suoi stretti legami con la comunità delle criptovalute.

Il rischio contagio

Il rischio di tasso di interesse di SVB tra asset (obbligazioni a lungo termine a tasso fisso) e passività (depositi a breve termine a tasso variabile) non era coperto. Normalmente, le banche utilizzano gli swap per coprirlo. Con l’aumento dei tassi di interesse, il valore degli asset è diminuito mettendo quindi nelle ormai note difficoltà la banca californiana. Il caso SVB ha fatto sorgere in molti il dubbio: può accadere qualcosa del genere ad una banca più grande? La risposta è no; nessuna grande banca ha una gestione del rischio così carente. Una banca viene considerata “non in regola” se il suo patrimonio netto perde più del 15% del suo capitale Tier 1 negli stress test basati su scenari (ad esempio uno spostamento parallelo di 200 punti base dei rendimenti) stabiliti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. SVB probabilmente era ben al di sopra di questa soglia. Il problema della Silicon Valley Bank si è verificato perché le banche americane con asset inferiori a 250 miliardi di dollari sono sottoposte a un controllo più leggero e non sono sottoposte annualmente all’analisi e alla revisione completa del capitale della Federal Reserve (CCAR).

Insomma, quest’analisi porta a ritenere che i guai di SVB si possano spiegare in gran parte per un mix di eccessiva concentrazione geografica e settoriale, un’attitudine discutibile alla gestione del rischio e alcune mosse finanziarie e contabili poco attente, come la decisione di smobilitare dal portafoglio la componente di derivati di protezione. Queste indicazioni non sembrano suggerire che ci sia un rischio diretto e sistematico del sistema bancario rispetto all’aumento dei tassi della Federal Reserve, fatte salve le eventuali criticità legate a un peggioramento della situazione economica.

Non a caso Davide Serra, fondatore e chief executive officer di Algebris, sul caso Silicon Valley Bank ha invitato a “non fare di tutta l’erba un fascio”. Ecco il suo video-commento sulla vicenda.