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Euro, chi ci ha guadagnato? In 15 anni BTP quasi +100%

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ROMA (WSI) – Quindici anni fa, tra molte speranze e forse troppe illusioni, nasceva la divisa comune europea. Il consuntivo di questo lungo arco di tempo, nel momento in cui prende il via l’ottava legislatura del Parlamento europeo, pone gli investitori di fronte a una realtà complessa.

E tuttavia, secondo un sondaggio condotto da Swg per conto di CorrierEconomia il 52% degli italiani ritiene che la ragion d’essere economica dell’euro è tale che qualsiasi risultato elettorale non avrà peso sulla divisa comune.

Anche per questo il futuro si prospetta interessante per l’investimento azionario e per le strategie di portafoglio a reddito fisso, quelle che in questi anni, grazie ai Btp, hanno dato i migliori risultati per i risparmiatori.

Il bilancio

Se si guarda al dato dei rendimenti di lungo periodo dalla nascita dell’euro a oggi balza agli occhi il risultato clamoroso in termini di performance delle commodities – oro e petrolio – che in un decennio e mezzo sono cresciuti rispettivamente del 288% e dell’822%.

Al terzo posto nella scala dei profitti, le azioni dei paesi emergenti, il cui valore è quasi raddoppiato (+197%). É evidente che le dinamiche profonde della crescita dei mercati internazionali e dei rendimenti delle attività finanziarie sono stati largamente indipendenti dalle sorti della nuova moneta europea.

Se tuttavia andiamo a considerare il bilancio degli investimenti «di casa nostra», le azioni italiane ed europee (ma anche le azioni Usa, il cui profitto per un investitore europeo è fortemente condizionato dal tasso di cambio), oppure i titoli a reddito fisso, le cose cambiano.

L’euro, che con la sua introduzione ha determinato una convergenza verso il basso dei tassi di interesse delle emissioni obbligazionarie, è all’origine delle buone performance del mercato del reddito fisso, visto che quando i tassi scendono il valore di mercato dei titoli già emessi aumenta.

Non sorprende dunque che al quarto posto nella classifica dei rendimenti si collochino i Btp italiani (+98,7%), capaci di garantire un rendimento «reale», al netto dell’inflazione, largamente positivo al vasto pubblico dei risparmiatori che hanno creduto nelle emissioni pubbliche. Promossi anche i Bot (+44,7%), i Cct (+53,8%) e i Ctz (+56,1%).

Il tasso di inflazione dell’intero periodo si arresta infatti a un relativamente modesto 38,7%. I prezzi freddi, non dimentichiamolo sono stati uno dei principali vantaggi dell’introduzione della divisa comune europea, soprattutto per quei paesi, come l’Italia, che venivano da decenni di inflazione talvolta a doppia cifra. Arranca, invece, nella classifica dei guadagni di lungo periodo l’investimento azionario.

Diecimila euro investiti in azioni di Piazza Affari il primo di gennaio del 1999 si sono ridotti ad appena 7.437 a maggio del 2014. Un dato che migliora soltanto se si considera anche il contributo dei dividendi, che porta il risultato complessivo in territorio positivo (+25,5%), ma comunque inferiore al tasso di inflazione cumulata.

Medesimo risultato inferiore al tasso di inflazione per le 50 maggiori blue chip europee (addirittura negativo in termini assoluti, -5,1%), per le azioni globali (+25,9%) e per i titoli quotati a Wall Street (+ 31,7%). In questi ultimi due casi l’eccessiva forza dell’euro nella parità di cambio con le altre divise ha penalizzato gli investitori.

Le prospettive

Se la divisa comune, che oggi quota 1,36 contro dollaro, ritornasse al valore che aveva raggiunto al momento della sua nascita – 1,18 – queste classi di investimento genererebbero rendimenti positivi per i risparmiatori «domestici» italiani ed europei.

Ed è anche sul fronte del cambio e dello stimolo monetario che si giocheranno le convenienze delle scelte di portafoglio nel corso dei prossimi mesi. Gli operatori attendono con impazienza le mosse della Bce, che secondo Goldman Sachs e la maggioranza degli economisti e degli istituti di ricerca, a giugno potrebbe lanciare una politica di tassi negativi sui depositi bancari. L’effetto di una strategia monetaria analoga a quella adottata dalla Fed negli anni passati potrebbe, secondo gli strategist di Ubs, «provocare un indebolimento del cambio e favorire per questa via una accelerazione della crescita dei profitti aziendali».
Ecco dunque che i listini maggiormente «ciclici» in Europa, in particolare Parigi e Francoforte, potrebbe trarre profitto da queste misure di stimolo. Che andrebbero a vantaggio anche di paesi, come l’Italia, che, condizioni politiche permettendo, potrebbero vedere scendere nuovamente il differenziale di interesse tra Bund e Btp che nelle ultime settimane ha rialzato la testa.

In questo scenario anche il mercato del reddito fisso tornerebbe a far sorridere i risparmiatori. Proprio come è avvenuto nel corso degli ultimi 15 anni.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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